Si è discusso molto del decreto liquidità varato dal Governo, soprattutto per quel che riguarda le procedure che rischiano di allungare i tempi di erogazione delle somme necessarie alle aziende. Tuttavia, come ci spiega l’avvocato del lavoro Cesare Pozzoli, nello stesso decreto ci sono anche delle norme che riguardano i rapporti di lavoro e che potrebbero creare problemi non poco marginali.
Il decreto legge n. 23 dell’8 aprile ha inciso anche sui rapporti di lavoro?
Anche in questo caso la tecnica legislativa è stata molto estesa e disorganica. Tra le molte materie trattate, il decreto ha normato anche alcune materie giuslavoristiche tra cui gli ammortizzatori sociali e, ancora una volta, i licenziamenti.
Su queste materie vede qualche aspetto critico?
Sul tema degli ammortizzatori sociali in molti hanno già detto e scritto. Forse ancora in pochi hanno invece rilevato la “cripto-norma” contenuta alla lettera l), secondo comma, dell’art 1 del decreto che potrebbe avere un effetto potenzialmente dirompente per molte imprese.
Vuole essere più preciso per non essere “criptico” anche lei?
Il comma in questione, in due sole righe, dispone che le imprese di qualunque dimensione, e quindi quale che sia il numero di occupati, che accedano ai prestiti agevolati garantiti dallo Stato debbano assumere “l’impegno a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali“. Nella sua genericità, e volendo supporre che una norma di legge debba avere un significato, i problemi che essa pone sono molteplici e tutt’altro che trascurabili.
Ce ne indichi alcuni.
Anzitutto non è chiaro se l'”impegno” che deve assumere l’impresa sia cogente e debba essere formalizzato già nel momento in cui la stessa chiede o riceve il prestito garantito. Altrettanto incerto è quanto debba durare l’impegno, potendosi ipotizzare che esso permanga fino al momento della restituzione del prestito. Ancora, non è chiaro quali siano le conseguenze dell’inottemperanza dell'”impegno”: la revoca del prestito, la nullità dei licenziamenti eventualmente intimati in violazione della norma, entrambe queste due “sanzioni” o altro ancora? In secondo luogo, è inesplicato anche il concetto di “esubero”, non essendo chiaro se esso riguardi anche i licenziamenti individuali ovvero soltanto i licenziamenti collettivi che, ex art. 4 L. 223/91, si verificano laddove vengano licenziati più di 4 lavoratori per motivi economici nell’arco di un periodo di 120 giorni.
Sembrano problemi alquanto complessi.
E non è tutto. È ambigua anche la portata dell’obbligo di “gestione dei livelli occupazionali attraverso accordi sindacali“. Qui ogni parola usata spalanca un problema: non è chiaro infatti cosa si intenda con la locuzione “gestione”; non è chiaro se l’accordo debba riguardare la sussistenza stessa e/o la consistenza dell’esubero ovvero la procedura e i tempi nei quali attuare i licenziamenti o soltanto i c.d. “criteri di scelta” da utilizzare per identificare i lavoratori da licenziare, un po’ come prevede l’art. 5 della L. 223/91 identificandoli nei carichi di famiglia, nell’anzianità aziendale e nelle esigenze tecnico-produttive fatti salvi altri criteri decisi congiuntamente con i sindacati; non è chiara neppure la portata del potere di “veto” attribuito ai sindacati. E non da ultimo non è chiara neppure l’efficacia precettiva dell’obbligo.
Ovvero?
Se cioè la sua violazione comporti la nullità, l’invalidità ovvero una mera inefficacia dei licenziamenti, sanabile per esempio con la restituzione anticipata del prestito e dei relativi interessi. E con tutto il rispetto, non lascerei tutti questi problemi interpretativi sui tavoli della Magistratura, con esiti probabilmente molto diversi da Tribunale a Tribunale e da una Regione all’altra, e con costi e conflitti enormi.
Insomma è una gran confusione…
Sì, indubbiamente, tra l’altro in un momento in cui c’è bisogno di tutto fuorché di ulteriore caos e ipertrofia legislativa derivante da Decreti Legge, DPCM, ordinanze, provvedimenti regionali, comunali e di pubblica sicurezza. Anche perché, se è comprensibile e doverosa l’esigenza del Governo di evitare licenziamenti dettati dal panico e dalla fretta, non si può comunque addossare sulle imprese un divieto “sostanziale” di attuare licenziamenti, caricando le stesse di un onere sociale ed economico improprio, vieppiù considerando che questa pandemia gli esuberi li sta già determinando e che le imprese hanno già subito e subiranno gravissimi danni, e se licenzieranno lo faranno in molti casi a malincuore e per necessità e non invece per conseguire maggiori profitti. Tenendo anche conto che questa norma non è l’unica che limita i licenziamenti.
Cosa intende dire?
Alludo all’art. 46 del D.L. 18/2020 che, oltretutto con una rubrica palesemente errata che parla di sospensione delle procedure di impugnazione dei licenziamenti, vieta di fatto alle aziende di intimare i licenziamenti fino al 17 maggio 2020, salvo ulteriori proroghe che taluni hanno già prospettato e che, ove fossero disposte, porrebbero tale disposizione ai limiti della costituzionalità. D’altra parte ricordo anche che esistono già varie norme a tutela dei licenziamenti illegittimi.
Ma il Governo darebbe liquidità e la cassa integrazione alle imprese a fronte dei divieti di licenziamento. Non è un buono scambio?
Si tratta di misure importanti, ma probabilmente non sufficienti. Anche perché gli ammortizzatori sociali sono previsti per un tempo limitato e hanno comunque un costo per le aziende e si traducono in un sussidio limitato per i lavoratori. Mentre invece i prestiti vanno prima o poi restituiti. Il problema dei licenziamenti ha invece una prospettiva strutturale per le aziende, che generalmente vi ricorrono come extrema ratio quando part-time, contratti di solidarietà, sospensioni concordate dei rapporti, smart working e altre forme alternative non sono più possibili.
In tutto questo quale è il suo giudizio finale?
Rispondere a questa domanda in poche parole non è agevole. Nel nostro ambito professionale abbiamo visto molte aziende e imprenditori che stanno affrontando questa crisi gravissima mettendo testa, cuore e tutte le risorse disponibili – anche mettendo mano al proprio portafoglio personale – per sopravvivere e per rilanciarsi, mettendo al centro la persona e la tutela anche dei lavoratori, come ho potuto personalmente constatare in un recente Convegno “on line” organizzato dall’Associazione Italiana Direzione Personale a cui ho partecipato, o leggendo alcuni documenti di lavoro redatti dalla C.d.O. e da altre associazioni. L’auspicio è che questa parte positiva e responsabile del nostro Paese possa essere sostenuta o quantomeno non ostacolata con norme inutili e gravose che, ove protrattesi oltremodo, ci riporterebbero a un sistema economico dirigistico e statalista già sconfitto dalla storia.
C’è la possibilità che queste norme possano cambiare?
La speranza è che in sede di conversione, magari con il fattivo apporto delle forze parlamentari e sociali, questa e varie altre disposizioni avventate possano essere corrette o quantomeno chiarite.