Il decreto rilancio è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e da quello che leggiamo si profila una confusione discreta sul termine – e le risorse stanziate – che riguarda la persona “non autosufficiente” “disabile” “con disabilità gravissima”. In premessa ricordiamo che il Fondo nazionale per la non autosufficienza è stato istituito nel 2006 con la legge n. 296, con l’intento di fornire sostegno a persone con gravissima disabilità e ad anziani non autosufficienti al fine di favorirne una dignitosa permanenza presso il proprio domicilio e per garantire, su tutto il territorio nazionale, l’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali che negli anni si sono modificate. Risorse aggiuntive rispetto a quelle già destinate alle prestazioni e ai servizi a favore delle persone non autosufficienti da parte delle Regioni e delle autonomie locali e che sono finalizzate alla copertura dei costi di rilevanza sociale dell’assistenza sociosanitaria.
Negli anni il Fondo è stato sostenuto, a volte ridotto, fino a oggi, dove troviamo nell’articolato del decreto rilancio una sovrapposizione di interventi per queste tre tipologie sociosanitarie assistenziali che si aggiungono al precedente decreto cura Italia. Nel decreto rilancio si dispone un incremento di 90 milioni di euro, per l’anno 2020, per il Fondo per le non autosufficienze, “al fine di potenziare l’assistenza, i servizi e i progetti di vita indipendente per le persone con disabilità gravissima e non autosufficienti gravi e per il sostegno di coloro che se ne prendono cura, in conseguenza della emergenza epidemiologica da Covid-19”. Dagli attuali 573 milioni si arriverebbe quindi a oltre 650. E su questo vedremo come e se le risorse saranno veramente esigibili.
Scopo dell’investimento dovrebbe essere “fornire sostegno a persone con gravissima disabilità e ad anziani non autosufficienti al fine di favorirne una dignitosa permanenza presso il proprio domicilio evitando il rischio di istituzionalizzazione, nonché per garantire, su tutto il territorio nazionale, l’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali”. Il DPCM 21 dicembre 2019 recante “Adozione del Piano nazionale per la non autosufficienza e riparto del Fondo per la non autosufficienza nel triennio 2019-2021” ha individuato la dotazione del Fondo in 571 milioni di euro per il 2019 e 568,9 milioni di euro per il 2021. Il secondo comma dell’articolo 111 del decreto rilancio prevede un incremento di 20 milioni, per l’anno 2020, del Fondo per l’assistenza alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare (legge 22 giugno 2016, n. 112, articolo 3, comma 1), per “potenziare i percorsi di accompagnamento per l’uscita dal nucleo familiare di origine ovvero per la deistituzionalizzazione, gli interventi di supporto alla domiciliarità e i programmi di accrescimento della consapevolezza, di abilitazione e di sviluppo delle competenze per la gestione della vita quotidiana e per il raggiungimento del maggior livello di autonomia possibile, per le persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, in conseguenza della emergenza epidemiologica da Covid-19”.
Tali risorse paiono “aggiuntive rispetto a quelle già destinate alle prestazioni e ai servizi a favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare da parte delle Regioni, nonché da parte delle autonomie locali”. Si evidenzia quindi “la necessità di aumentare ulteriormente per l’anno 2020 il Fondo a causa dei complessivi maggiori oneri e costi, che derivano con riferimento alla tutela delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare, in considerazione della emergenza da Covid 19, in quanto le prossime fasi di cosiddetta convivenza con il virus rendono ancora più urgente l’adozione, tra l’altro, di forme di deistituzionalizzazione e di interventi di supporto alla domiciliarità, nonché di maggiore attitudine alla vita autonoma quotidiana, volte a ridurre, in ambienti domestici e alloggiativi adeguati, i rischi di contagio delle persone con disabilità grave, già fisiologicamente più esposte”.
Il terzo comma introduce un nuovo fondo, dotandolo di 40 milioni di euro: il “Fondo di sostegno per le strutture semiresidenziali per persone con disabilità”, finalizzato a “garantire misure di sostegno alle strutture semiresidenziali regionali, a carattere socio-assistenziale, socio-educativo, polifunzionale, socio-occupazionale, sanitario e socio-sanitario per persone con disabilità, che in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 devono affrontare gli oneri derivanti dall’adozione di sistemi di protezione del personale e degli utenti, nello stato di previsione della Presidenza del Consiglio”. Tale fondo è “volto a garantire il riconoscimento di una indennità agli enti gestori delle medesime strutture, nel limite di spesa di 40 milioni di euro per l’anno 2020. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio, da adottare entro quaranta giorni dall’entrata in vigore del decreto, sono definiti i criteri di priorità e le modalità di attribuzione dell’indennità di cui periodo precedente”.
Si evidenzia che “alla chiusura delle strutture semiresidenziali, disposta con il Decreto-Legge 17 marzo 2020, n. 18, ha fatto seguito un nuovo provvedimento, il DPCM del 26 aprile 2020, con cui se ne autorizza la riapertura a condizione che vengano assicurati specifici protocolli concernenti il rispetto delle disposizioni per la prevenzione del contagio e la tutela della salute degli utenti e degli operatori”.
Insomma, in buona sostanza la disabilità viene associata alla non autosufficienza procurando una confusione di interventi e di stanziamento di risorse che è difficile da individuare concretamente e soprattutto a quali persone sono dedicati e con quale personale si ottempera a queste norme, posto che a livello nazionale e regionale più volte si è denunciata la mancanza di personale sociosanitario. Sicuramente i familiari delle persone disabili e non autosufficienti sono stati lasciati soli dai servizi, dalla scuola, dalle istituzioni. Molti con i quali siamo in contatto, come Associazione TutteperItalia, poiché seguiamo il Confad (Coordinamento nazionale famiglie con disabilità) ci dicono che circa il 50% dei caregiver familiari dichiara di non essere stato mai contattato, dall’inizio dell’emergenza sanitaria, da assistenti sociali né centri diurni. Il 90% riferisce che, con la pandemia, il proprio carico di assistenza è diventato più gravoso. E il 70% denuncia una condizione di salute patologica, con carico di stress e ansia. “Ne è emersa una fotografia che sarebbe riduttivo definire drammatica”.
Inoltre, in presenza di bambini o ragazzi con disabilità, i caregiver familiari hanno dichiarato nel 45% dei casi di non aver ricevuto alcuna assistenza scolastica in remoto, mentre nel 35% dei casi l’hanno ricevuta da una a tre volte la settimana. “Clamoroso il fatto che il 94% degli alunni con disabilità partecipi alla didattica a distanza solo grazie all’impegno del caregiver familiare – riferisce il Confad – che presta assistenza per facilitare le operazioni di collegamento e si sostituisce in presenza all’insegnante di sostegno per la facilitazione e la semplificazione delle attività di classe. Probabilmente per questo motivo il 78% dei caregiver familiari dichiara la didattica a distanza inadeguata e non individualizzata”.
E ancora nei casi in cui la persona con disabilità frequentasse, prima della pandemia, un centro diurno, il 65% dei familiari ha dichiarato di non aver avuto nessun contatto: “La drammatica conseguenza è che nessun servizio è stato attivato: fisioterapia, logopedia, infermieri, oss, educatori: nulla di nulla. E nel 74% dei casi, neanche l’offerta di assistenza da remoto”. Assai carenti si sono rivelati anche i servizi sul territorio: nell’80% dei casi i servizi sul territorio non erano previsti o comunque sono stati bruscamente interrotti. Ne consegue il dato relativo al carico di accudimento del caregiver familiare che nel periodo in esame è diventato più gravoso per il 90% dei casi, al punto tale che i caregiver familiari coinvolti hanno dichiarato di aver subito un danno fisico/emotivo in questo periodo.
Dunque è più che critico il rapporto con le istituzioni, visto che ben il 71% dei caregiver familiari dichiara di non sentirsi affatto supportato, e se per i caregiver lavoratori un minimo di intervento è stato previsto (l’articolo 76 conferma, anche per maggio e giugno, l’aumento dei giorni di permesso previsti dalla legge 104/1992), per i lavoratori con disabilità o lavoratori che assistono familiari disabili vengono previsti altri 12 giorni aggiuntivi complessivi, utilizzabili tra maggio e giugno per un totale di 18 giorni. Per i caregiver familiari non lavoratori, solo il 3,1% ha dichiarato di aver ricevuto sostegni economici, quali pacchi e buoni spesa.
È giunta l’ora di far chiarezza sia nella distribuzione delle risorse che dell’autentico e concreto impegno a questa fascia di popolazione che rimane ancora troppo sola, spesso abbandonata e sorretta solo dalla famiglia e dal volontariato.