Il Governo ha varato nella notte tra venerdì e sabato il nuovo Decreto sui ristori. Il provvedimento estende l’accesso ai benefici dei contributi a fondo perduto a categorie escluse dal provvedimento precedente (ci sono bus turistici, trasporti lagunari, fotoreporter, chi fa corsi di danza, le lavanderie industriali, i negozi di bomboniere i traduttori e anche i produttori di fuochi d’artificio). Gli indennizzi arrivano al 200% anche per guide alpine, musei, biblioteche, monumenti, orti botanici e zoo. Sono incluse le rosticcerie e pizzerie al taglio, e gli internet point, che avranno un ristoro al 50% di quanto già avuto in estate.



La nuova lista include i negozi (dall’abbigliamento agli elettrodomestici fino ai sexy shop), gli ambulanti (visto che anche i mercati sono chiusi), gli estetisti e gli altri servizi alla persona, compresi chi fa piercing e tatuaggi, i servizi per gli animali (canili, dogsitter, toelettatura) e le agenzie matrimoniali. In particolare, gli indennizzi passeranno dal 150% al 200% per bar, pasticcerie e gelaterie che si trovino in zone rosse o arancioni. Insomma, una lista minuziosa anche se ci saranno sempre gli scontenti.



Uno snodo importante riguarda le tasse. Per tutte le imprese delle zone rosse costrette a chiudere, il decreto prevede il rinvio degli acconti di novembre “indipendentemente dalla diminuzione del fatturato o dei corrispettivi”. Stop anche ai versamenti dell’Iva e alle ritenute alla fonte. I pagamenti sospesi potranno essere saldati, senza applicazione di sanzioni e interessi, in un’unica soluzione entro il 16 marzo 2021 o mediante rateizzazione fino a un massimo di quattro rate mensili di pari importo. Dunque l’ansia fiscale s’allenta oggi, ma crescerà con l’arrivo della primavera.



Il Governo durante quest’anno ha continuato a spostare in avanti le scadenze, avrebbe fatto meglio a scegliere una moratoria annuale rateizzando i pagamenti su più anni, un po’ come si fa quando si rinegoziano i debiti. Certo bisognava poi tappare il buco delle entrate, ma il buco c’è comunque. Davvero pensiamo che il 16 marzo la pandemia sarà passata?

Il fatto è che si naviga a vista, aggiustando le misure mese per mese e aumentando l’entità degli interventi (in questo caso si tratta di un miliardo di euro) inseguendo il progressivo peggioramento sanitario. La seconda ondata sta assumendo una portata che le autorità, compreso il Comitato tecnico scientifico, non avevano previsto. Si potrà chiedere il perché di tanta sorpresa, quando il buon senso suggeriva già da tempo, fin dall’estate, di tenersi pronti per la ricaduta autunnale e il peggioramento invernale. Ma così stanno le cose. Si tireranno le somme quando saremo usciti dall’emergenza.

Verrà il tempo delle analisi oggettive e dell’accertamento delle responsabilità. Ora è il tempo dell’azione, delle decisioni più appropriate ad alzare una diga ed evitare un vero e proprio tsunami. È anche il tempo, però, di analizzare la logica delle scelte compiute, la loro qualità non solo la loro quantità. Le diverse categorie sociali, i gruppi di pressione, gli interessi costituiti, legittimi e non, si agitano, protestano, chiedono, pretendono. Fa parte del gioco. Ma le regole con le quali si gioca non funzionano.

C’è la falla dell’efficienza. La responsabilità ricade su chi deve gestire le misure prese dal Governo, quindi in primo luogo la Pubblica amministrazione. Dire che abbia fatto flop è un esercizio di diplomazia, la realtà è che ha rivelato tutte le sue mancanze: arretratezza, impreparazione (culturale non solo tecnica), farraginosità. Il caso dei bonus bici è emblematico.

C’è la falla del consenso. I conflitti tra Governo centrale e Regioni stanno sfuggendo di mano. In ogni Paese (a cominciare dalla Germania dove i Laender hanno poteri ben superiori alle regioni italiane) ci sono dissensi e conflitti tra autorità nazionali e locali, ma ovunque si cerca il compromesso. Qui invece prevale la logica partigiana: destra contro sinistra, nord contro sud, piccoli contro grandi, ricchi contro poveri (e viceversa). Il consenso passivo sul quale ha contato il Governo nel lockdown di primavera si è dissolto; il tentativo di trasformarlo in consenso attivo non è stato mai fatto; maggioranza e opposizione, centro e periferia, condividono le stesse colpe.

C’è la falla della strategia economica. È evidente a tutti che l’emergenza s’impone, ciò vuol dire che bisogna spendere facendo debiti senza andare troppo per il sottile. E tuttavia esiste anche nell’emergenza una logica corretta e una perversa.

Larry Summers, l’economista di Harvard che è stato segretario al Tesoro con Bill Clinton, spiega che, con tassi d’interesse così bassi, se ci si indebita per investire, grazie alla crescita la montagna dei debiti pubblici non frana rovinosamente a valle. Se invece si sceglie di allargare il deficit per far fronte soltanto a spese assistenziali, allora la trappola del debito diventa micidiale. I consigli di Summers vanno al prossimo Presidente americano (verosimilmente Joe Biden), ma la sua ricetta vale in generale, tanto più per l’Italia che ha meno margini vista la soglia dalla quale è partita prima della pandemia. 

Il maggior punto debole della politica economica del Governo Conte è proprio questo. Oltre ai sussidi, i ristori, l’assistenza, tutto ciò che è necessario, anzi indispensabile oggi, non c’è nulla. La spesa viene aumentata a cadenza più meno mensile, ma è sempre e solo spesa corrente. La legge finanziaria viene fatta e disfatta come la tela di Penelope, ma la sua dimensione temporale è sempre più ristretta e la sua portata strategica sempre più limitata. Fino a pochi giorni fa si delegavano al fondo europeo gli interventi per la ripresa. Adesso del fondo non si parla nemmeno più. Riguarda il futuro, il 2021 se tutto va bene, un anno in cui il prodotto lordo sarà in grado di recuperare metà (anzi meno) della caduta del 2020 prevista in poco meno del 10%. Ha da passà ‘a nuttata, ma sarà ancora buio pesto?