“La pandemia da Covid-19 ha determinato una recessione senza precedenti e fra gli strumenti adottati per riportare il Paese su un sentiero di crescita vi è il decreto legge Semplifica Sistema Italia, con il quale si vuole intervenire nelle varie fasi che interessano la realizzazione delle opere pubbliche”. Dopo l’ennesimo vertice di maggioranza, lo ha dichiarato nel question time alla Camera il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che ha intenzione di portare il provvedimento al Consiglio dei ministri di domani. Il premier ha poi aggiunto: “Si tratta della madre di tutte le riforme, indispensabile per modernizzare l’Italia e tornare a far correre il Paese, su cui il governo e le forze di maggioranza si stanno confrontando in maniera costruttiva in queste ore”. Sarà davvero così? Il Dl semplificazione è la cura shock che serve al paese? E se è vero che tutti vogliono semplificare le procedure e rilanciare investimenti e grandi opere, perché i partiti della maggioranza giallo-rossa sono divisi, tanto che si teme arrivi in Cdm un decreto che verrà forse firmato “salvo intese”? Sarà una riforma in grado di convincere l’Europa a concederci i fondi per combattere l’emergenza economica dovuta al coronavirus? Lo abbiamo chiesto a Massimo Giannini, direttore de La Stampa.



Tutti a parole sono d’accordo sulle semplificazioni, Conte definisce il decreto “la madre di tutte le riforme”, eppure all’interno della maggioranza ci sono divisioni e critiche, il provvedimento arriva in ritardo di oltre un mese sulla tabella di marcia, e anche i sindacati hanno manifestato più di una perplessità. Che cosa c’è che non va?



Probabilmente la prima cosa che non va è il fatto, secondo le logiche ormai collaudate del modus operandi di questo governo, che forse non è stato abbastanza condiviso tra gli alleati di governo prima che fosse stesa almeno la prima bozza. Ed è un problema ricorrente. Se c’è un limite nella comunicazione di Conte è proprio questo: troppi annunci ai quali spesso non corrisponde un provvedimento retrostante né soprattutto un accordo con gli alleati di governo retrostante.

E nel merito?

Il decreto viene incontro ad alcune richieste fondamentali che in questi anni sono state a più riprese sollevate. In particolare, nell’ultimo periodo, si è evocato il “modello Genova”, che mi sembra abbastanza riprodotto nello schema del decreto. Tutto questo, ovviamente, al netto dei condoni, di cui si è parlato.



Ma quella norma, come hanno chiesto unanimemente i vari partiti della maggioranza, sembra essere stata stralciata…

Personalmente considero nefasta qualunque forma di condono: di tipo tributario, di tipo edilizio, di tipo contributivo previdenziale. Quindi bene ha fatto il premier a fare prontamente un passo indietro. Questo però conferma, di nuovo, che è mancata una condivisione precedente.

Giusto mettere mano ad abuso d’ufficio e danno erariale, rendendo perseguibile chi non fa o rallenta più di chi sbaglia?

Rispondono a un’esigenza di velocizzazione delle procedure. Capisco per contro che, soprattutto sulla responsabilità erariale, la magistratura contabile si senta in qualche modo messa all’angolo.

Infatti il presidente della Corte dei conti ha scritto al Capo dello Stato perché valuta incostituzionale l’ipotesi di escludere la responsabilità degli amministratori per danno erariale, anche in caso di colpa grave. Si corre questo rischio di incostituzionalità?

La lettera cerca di impedire che questo sgarbo, questo strappo venga compiuto con il decreto. Vedremo che cosa sarà recepito nel testo. Ma se vogliamo velocizzare, probabilmente qualche “sacrificio” va accettato. Eccetto un punto.

Quale?

Il controllo di legalità, che è una parte manchevole del provvedimento. Giusto rivedere alcuni profili dell’applicazione penale dell’abuso d’ufficio; giusto superare in qualche caso, almeno in chiave preventiva, il blocco che può rappresentare la Corte dei conti rispetto a certe opere che possono avere una ricaduta anche di tipo erariale. Tuttavia, in un paese a illegalità molto diffusa come il nostro, una rete di controlli stringenti, sotto il profilo della legalità e della criminalità, si rende comunque necessario. Un aspetto su cui l’Anac ha già fatto trapelare tutta la sua insoddisfazione.

Il M5s, che chiede di estendere il “modello Genova” nominando un commissario per ogni grande opera, ha finalmente abbandonato la sua linea contro le infrastrutture, anche se ieri, sull’onda della dichiarazione del neosindaco verde di Lione che ha chiesto di non completare la Torino-Lione, è tornata a invocare l’annullamento della Tav?

Il M5s, di fatto, su tutti i grandi temi, non solo questo, vive una sorta di scissione psico-politica, chiamiamola così.

Perché?

Per la banalissima ragione che c’è una parte del Movimento, l’ala governista, che si è resa conto del fatto che quando si entra nella stanza dei bottoni si deve scendere anche a compromessi, non necessariamente al ribasso, rispetto a quelle che all’origine erano le grandi direttrici di marcia, anche ideali, del M5s.

E l’altra parte?

A quelle direttrici di marcia resta saldamente ancorata. Perciò gniqualvolta si toccano temi sensibili, come le grandi opere, questa parte sente il richiamo della foresta, ripetendo tutti i no che abbiamo conosciuto nel passato. Alcuni hanno anche un senso, ma in molti casi, un po’ per realpolitik e un po’ perché il paese ne ha autenticamente bisogno, forse un approccio più pragmatico, soprattutto in questo momento particolare, è necessario. Detto questo, non significa dimenticare tante battaglie del Movimento, la prima delle quali la riconversione green della nostra economia, che oggi è fondamentale come dimostrano gli altri paesi, Germania compresa. Dobbiamo farlo anche noi.

Nel decreto semplificazioni, ha detto ieri Conte al question time, “sono state studiate e in parte accolte le proposte di Italia Viva”. Renzi sulle grandi opere ha speso gran parte della sua credibilità politica. Non dovesse essere “accontentato” dalla versione finale del decreto, potrebbe riprendere la guerriglia di logoramento contro il premier e il governo?

Più che un rischio è una certezza. La guerriglia di Italia Viva è un dato strutturale di questo governo, credo che ne vedremo ancora sui vari fronti aperti.

Per esempio il Mes?

Sì, in Parlamento quando il premier Conte dovrà presentarsi con una risoluzione che forse aggirerà l’ostacolo, ma sarà un altro momento di tensione. Italia Viva se non fa questo Vietnam a bassa intensità non comunica al paese la sua esistenza in vita. Dal punto di vista politico Renzi ha tutto l’interesse a tenere la pentola in ebollizione. Però, come già in altre occasioni, stanti i sondaggi e la situazione politico-istituzional-economica, tira la corda senza mai romperla, perché non ha interesse ad andare al voto. Né si vedono una maggioranza o un premier alternativi, allo stato attuale. L’unico problema, che non è da poco, è capire cosa genera questa guerriglia: produce decisioni concrete che vanno nell’interesse materiale del paese?

Il decreto semplificazioni rappresenta davvero la cura shock che serve al paese per rilanciare gli investimenti, i cantieri, le infrastrutture? Può dare una mano alla ripartenza dell’economia?

Siamo in attesa di conoscere l’elenco delle 25 grandi opere che sarebbero sbloccate e velocizzate attraverso il “modello Genova”. Solo allora si potrà dare una risposta. Non vi sono dubbi però che uno degli aspetti fondamentali e prioritari per rimettere in moto l’economia, rilanciare il debito, creare occupazione non è tanto abbassare le aliquote Iva, quanto soprattutto rilanciare gli investimenti pubblici. Non a caso su questo hanno insistito molto anche tutti coloro che hanno interesse a che l’Italia metta mano alle riforme, a partire dalla cancelliera Merkel o dal vicepresidente della Bce, de Guindos. Siamo, per fortuna, in un’ondata di keynesismo di ritorno, ce ne siamo accorti purtroppo tardi, ma non è mai troppo tardi se ci mettiamo a lavorare sul serio.

Il decreto semplificazioni è il primo vero banco di prova per attuare quelle riforme che l’Ue ci chiede per avere i soldi del Recovery Fund. Basterà a convincere Bruxelles?

Penso che questo sia uno dei decreti con cui dovremo cercare di convincere l’Europa, non basterà. Ci sono altri tre interventi che si rendono necessari, altre occasioni che dobbiamo saper cogliere, collegate purtroppo alla drammatica emergenza Covid, perché le chiede non solo l’Europa ma il paese stesso.

Di cosa ha bisogno l’Italia oltre alla ripartenza dei grandi investimenti e delle grandi opere?

Innanzitutto, un grande shock fiscale, intervenendo di nuovo sul cuneo fiscale e sull’Irpef, magari rimodulando le aliquote. E poi contro l’evasione fiscale non bastano certo i pannicelli caldi della lotta al contante, serve molto di più se vogliamo davvero recuperare parte di quei 200 miliardi stimati che rappresentano il tesoretto nascosto dell’economia sommersa e illegale del nostro paese.

Seconda riforma?

C’è molto da fare sul fronte della giustizia civile, dove i ritardi sono clamorosi.

Terzo e ultimo capitolo?

Occorre mettere a regime la macchina amministrativa chiamata a gestire i fondi europei. Ora ne arriveranno, lo speriamo tutti, come mai ne abbiamo visti prima, ma sulla capacità di spesa abbiamo accumulato ritardi e inefficienze incredibili. Già dal prossimo Consiglio Ue del 17-18 luglio dobbiamo dimostrare che facciamo sul serio. I nostri partner non vogliono vedere dei fogli, vogliono riforme immediatamente esecutive. Dobbiamo muoverci, subito.

(Marco Biscella)