Egregio direttore,
negli ultimi mesi sembra che finalmente anche i livelli apicali della politica si siano accorti della necessità, non più rimandabile, di digitalizzare la pubblica amministrazione. La condizione in cui versa il nostro Stato è drammaticamente certificata dall’indice Desi, che ci relega agli ultimi posti in Europa, davanti solo a Romania, Grecia e Bulgaria. Secondo il Politecnico di Milano, questa arretratezza culturale costa all’Italia circa 25 miliardi di euro all’anno.



La burocrazia, spesso legata a micro e macro interessi economici, è ovunque. Ci insegue persino dopo la morte, e questo paradosso è esploso in tutta la sua macabra aberrazione durante il lockdown, quando moltissimi Comuni erano purtroppo alle prese con la conta dei defunti, da registrare all’anagrafe. Senza fare notizia, i dipendenti comunali hanno seguito pedissequamente una procedura che, ai più, risulterà sconcertante.



Oggi i Comuni redigono gli atti di morte in duplice copia su moduli cartacei, preventivamente vidimati dalla Prefettura. Questi moduli hanno dimensioni particolari (A3+) che richiedono obbligatoriamente l’utilizzo di stampanti ad aghi. E già qui si dovrebbe alzare bandiera bianca. Ma non è finita. Gli atti cartacei devono poi essere periodicamente consegnati alla Prefettura di competenza che ne controlla la regolarità, trattenendo una delle due copie. Devono, o meglio dovrebbero perché ormai da anni, in molte città, gli archivi sono saturi e, comprensibilmente, non c’è più spazio dove contenerli. Alla faccia del cloud…



A maggio 2019, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, intervenendo alla Conferenza sul digitale di Forum Pa 2019, era stato lapidario: “Le amministrazioni devono essere poste nelle condizioni di affrontare e vincere le sfide della trasformazione digitale, facendosi parte attiva nei processi di innovazione. E di fronte alle esigenze di soddisfacimento dei bisogni di una società complessa, non può esistere una amministrazione che non sia digitale e, al tempo stesso, non sia sottoposta a un aggiornamento continuo, come si addice a ogni struttura complessa che tratta soprattutto conoscenza”.  

E allora perché la burocrazia e la carta ci inseguono cinicamente anche dopo la morte? La digitalizzazione è una guerra quotidiana. Vedremo che fine farà l’emendamento, presentato dalla Lega al decreto Semplificazione, che mette fine all’utilizzo di carte speciali, stampanti ad aghi (sic!) e montagne di faldoni, con buona pace delle pec, del cloud e della blockchain.

Cosa chiede questo emendamento? L’utilizzo di un formato standard più usuale (A4) e la trasmissione telematica degli atti di morte. Un piccolo passo verso la digitalizzazione che potrebbe consentire di risolvere molti problemi: eliminazione della stampante ad aghi (costo tra 800 e 1000 euro, per 8mila comuni sono 8 milioni di euro assolutamente inutili) e dei connessi costi di manutenzione, utilizzo di formati cartacei standard e meno costosi, risparmio di tempo nei rapporti con la Prefettura, riduzione dell’ingombro degli archivi cartacei comunali.

Dalle parole ai fatti: tra pochi giorni sapremo se ci toccherà, ancora una volta, morire di burocrazia.

PS. Il taglio dei parlamentari porterebbe risparmi per 82 milioni all’anno. Qui stiamo parlando di 25 miliardi…