“Fatto poco e fatto male”, perché “non si sburocratizza con un provvedimento di 96 pagine, 48 articoli, approvato tra le 23 della notte e le 4.10 del mattino”. Sabino Cassese, costituzionalista, giudice emerito della Consulta ed ex ministro della Funzione pubblica, ha bocciato così il decreto legge semplificazione, che il premier Conte ha pomposamente presentato, anche agli occhi dell’Europa, come “la madre di tutte le riforme”. Per Cassese, invece, “l’azione del governo è insufficiente, anche perché temporanea” e “contiene disposizioni non sufficientemente coraggiose, non tali da ottenere davvero una semplificazione”. Per rilanciare i cantieri, rispettando legalità e concorrenza, è sufficiente fare quello che già si fa in Europa: “con norme più semplici e meno numerose”. E il modello Genova? “Un mito improponibile”.



Il decreto Semplificazioni è stato approvato dal governo “salvo intese” e lei sull’impianto del provvedimento ha dato un giudizio non certo lusinghiero. Che cosa non la convince soprattutto?

Forma e sostanza non convincono. Il Consiglio dei ministri dovrebbe deliberare i testi, non rinviare le decisioni a singoli ministri. Altrimenti, non c’è più collegialità. Inoltre, il testo del decreto legge Semplificazione comprende troppe materie. E contiene disposizioni non sufficientemente coraggiose, non tali da ottenere davvero una semplificazione. Infine, non delegifica e accentra troppi poteri su Palazzo Chigi, che diventerà un nuovo collo di bottiglia.



Come valuta la sospensione per un anno del Codice degli appalti? Non era meglio riformarlo? E secondo lei, il decreto confonde la semplificazione con l’introduzione di deroghe e sospensioni?

Si sono confusi interventi di emergenza con semplificazioni. Il Codice degli appalti andava depurato di tutto quello che fu aggiunto sotto la pressione dell’Anac (leggi qui le precisazioni dell’Anac). Quindi, l’azione del governo è insufficiente, anche perché temporanea.

La semplificazione è un obiettivo inseguito da tempo, molti governi hanno cercato di raggiungere questo risultato, ma con esiti poco incoraggianti. Come si taglia la cattiva burocrazia?



Quella che lei chiama cattiva burocrazia è il risultato di un complesso di fattori. In primo luogo, una legislazione pesante, farraginosa. In secondo luogo, un eccesso di oneri e di fattori disincentivanti sulla burocrazia. In terzo luogo, un disegno delle procedure labirintico.

L’avvio dei cantieri è più che una necessità per un paese come l’Italia dove mancano infrastrutture e investimenti pubblici. Come si conciliano la velocizzazione di tempi e iter burocratici con il rispetto della legalità e la tutela della concorrenza?

Nello stesso modo in cui si conciliano questi due principi all’interno dell’Unione Europea: con norme più semplici e meno numerose. E con un rispetto dei tempi da parte dell’amministrazione.

In sede di stesura e approvazione del decreto c’è stato un duro scontro, anche politico, su abuso d’ufficio e responsabilità per danno erariale. Come si vince la “paura della firma”?

Questi sono pesi che vanno eliminati dalle spalle della pubblica amministrazione. L’abuso d’ufficio è reato troppo generico per poter essere conservato. La responsabilità per danno erariale viene utilizzata dalla Corte dei conti in modo irragionevole e quindi costituisce un incentivo al non fare.

Corte dei conti e Anac hanno avanzato le loro critiche e i loro rilievi. Sono fondati?

Corte dei conti e Anac resistono a ogni cambiamento perché difendono i propri poteri invece dell’interesse nazionale.

Il “modello Genova” è proponibile o improponibile a livello nazionale per rilanciare i cantieri?

Il modello Genova è un mito improponibile. Riguarda un’opera che esisteva già. Riguarda un ambito molto ristretto. L’opera è stata finanziata con mezzi privati.

(Marco Biscella)