Una semplificazione che complica. È quella che il governo Conte non-può-che-far-finta-di-cercare con un decreto taumaturgico dopo la disastrosa figura fatta dall’Inps con i ritardi nel pagamento della Cassa integrazione e dal ministero dell’Economia nel dettagliare i suoi enigmistici provvedimenti destinati alla vaniloquente tutela delle imprese piegate in due dal Covid-19.
Ma l’incompetenza, la fretta e la malafede si pagano. Si sa che il decreto renderà almeno a tempo ininfluenti le temutissime norme sul “danno erariale”, che oggi dissuadono 11 funzionari pubblici su 10 dal firmare alcunché possa compromettere la loro tranquillità amministrativistica e, talvolta, anche penale.
Si sa che nella settantina di articoli si autorizzano procedure di appalto molto semplificate, con gare vere e proprie soltanto sopra i 5 milioni di valore dell’appalto e procedure semplificate sotto; e si sa che verranno accelerate le procedure per la famigerata valutazione di impatto ambientale (Via) da parte degli enti locali, che invece oggi possono durare anche 10 anni.
Ma i Cinquestelle e il Pd, i due inquilini litigiosi di questa maggioranza inefficiente, sono divisi su tutti i dettagli. In particolare sul condono edilizio, che in forma molto moderata (dicono i contiani) sarebbe stato ben visto dal premier, ma incontra il niet del Pd e spacca i grillini.
Il punto è che questo decreto esce – ed è il primo di una potenzialmente lunga serie – dal clima di emergenza sanitaria o economica nel quali sono dittatorialmente nati, ancorché deformi, gli altri.
Se il decreto liquidità e il decreto rilancio sono stati scritti male perché gli uffici legislativi sono allo sbando e se ne strafregano di un ceto politico che non stimano affatto e che vedono in caduta libera, ma erano attesi messianicamente perché si sperava – delusissimi! – che ci infilassero dei soldi in tasca dalla sera alla mattina, questo decreto sulla semplificazione costituisce, a ben pensarci, la prova tecnica di quelle riforme che l’Europa ci chiederà di fare a fronte dei finanziamenti del Recovery Fund, che Conte vuol prendere, e del Mes, che Conte non vuol prendere. Ma riforme dovranno essere, e non è questo il clima giusto.
Altro che semplificazione, qua ci vorrebbe un decreto-vinavil per tenere insieme le due metà della maggioranza. Anche perché – diciamolo – il progressivo ridimensionarsi del panico da epidemia sta ridimensionando la crucialità messianica dei provvedimenti governativi.
È il brutto delle riforme serie: sono le più importanti, ma tirano meno. E quindi nelle Camere e tra i partiti si comincia a risentir parlare di elezioni anticipate. È vero, bloccherebbero il Paese per almeno due mesi, se non di più qualora dalle urne – come sarebbe pur probabile – non emergesse alcun quadro di chiara governabilità. Ma per lo meno darebbero al Paese la chance di riprovarci, spurgando il peggio dell’avventurismo ignorante dei Cinquestelle, tenendo in salvo la loro frangia più alfabetizzata e consapevole magari attorno al partito metafisico di Conte e…
Già: e poi? Quale coalizione potrebbe governare, tenendo nuovamente insieme un Pd comunque ridotto a poco e dei Cinquestelle falcidiati? Ma dall’altra parte, quale destra si candida oggi seriamente a succedere ai gialloverdi in sala comandi? Quella dell’ex capitano, che continua a battere stancamente il tasto usurato dei migranti? Quella dell’84enne Berlusconi, che s’aggrappa all’improbabile – ancorché possibile: con la magistratura che abbiamo, tutto è possibile – golpe giudiziario ai suoi danni per risalire una china esistenziale irreversibile? O anche la destra della pur dialetticissima Meloni, che tollera però nella sua scia quasi ogni sorta di residuato bellico sociale?
L’impasse che paralizza tutta la politica e tiene nel congelatore quella buona è l’impasse morale e ideale del Paese, è il riflesso diretto di un’inconsistenza drammatica della classe dirigente civile prima che tecnicamente politica, ed anche economica. Siamo noi che abbiamo mandato a rappresentare l’Italia nel mondo un disoccupato disorganizzato. Siamo noi che abbiamo reclamato il reddito di cittadinanza per rafforzare un assistenzialismo senza sbocchi.
Siamo noi che nel segreto dell’urna, tra il partito dell’ideale e il partito di nostro cognato che, andando al potere, ci farebbe assumere nostra figlia come bidella, votiamo senza se e senza ma per il partito di nostro cognato.