La società cinese Dongfeng Motor è in trattative con il Governo italiano per la produzione di auto nel nostro Paese. Il gruppo cinese starebbe considerando un impianto con una capacità di 100.000 veicoli all’anno. Il responsabile delle operazioni europee del gruppo, Qian Xie, ha dichiarato che “l’Italia è uno dei maggiori mercati automobilistici europei e per una casa automobilistica cinese avere una produzione locale significa poter rifornire tutti gli altri Paesi dell’area”. L’Italia sarebbe interessante anche per “la disponibilità di porti”.
Le dichiarazioni avvengono in un quadro di rapporti tesi tra il Governo italiano e Stellantis che ha ereditato gli impianti Fiat. Per il nostro Esecutivo trovare un’alternativa al gruppo francese è importante perché per Stellantis gli impianti italiani non sembrano una priorità. Il gruppo guidato dall’ad Tavares qualche mese fa ha sostanzialmente condizionato il mantenimento della base produttiva a nuovi incentivi.
Un nuovo impianto sarebbe sicuramente una notizia positiva, ma il possibile investimento di Dongfeng non è una soluzione ai problemi del Governo italiano. I veicoli prodotti dal gruppo francese in Italia, inclusi quelli commerciali, sono circa 750mila. Questo numero è solo una piccola parte del tema. Dal punto di vista del “sistema Paese” ci sono almeno altre due questioni. La prima è se ci sono ricadute in termini di centri ricerca e sviluppo, dai motori al design. Il secondo è che il motore elettrico è infinitamente più semplice di quello termico e questo ha un impatto sulla componentistica. Il cuore di un’auto elettrica è la batteria e la sua gestione e in questo caso le competenze sono in Cina. Tutta l’industria europea dell’auto arranca perché la Cina è avanti sia sulla tecnologia delle batterie, sia nelle catene di fornitura che le producono. Il Paese asiatico oggi controlla quasi l’80% della capacità globale di produzione di batterie al litio. Il primato è destinato a rimanere incontrastato almeno fino al 2030.
Per costruire la capacità in Europa occorre mettere mano sulle materie prime la cui produzione è impattante dal punto di vista ambientale; l’Europa con la sua densità abitativa probabilmente non se la può permettere nei propri confini a meno di non aprire siti a cielo aperto, per esempio, nell’alto Lazio per estrarre litio.
La produzione di auto, si suppone elettriche visto il divieto al motore termico deciso dall’Europa, sarebbe un’attività di puro assemblaggio con cui, forse, i produttori cinesi si preparano a schivare i dazi europei che si profilano all’orizzonte.
I termini della questione sulla vicenda “auto elettrica”, sul vantaggio decennale accumulato dalla Cina sulla tecnologia e i materiali e sulle difficoltà oggettive che l’Europa ha a estrarre materiali “autarchici” si applica al settore europeo. L’Europa per competere con la Cina dovrebbe sparigliare le carte perché con le regole dell'”auto elettrica” non c’è partita. Che sia il diesel di ultima generazione, che siano i biocarburanti o più probabilmente nel lungo periodo il motore a idrogeno, l’industria auto europea per sopravvivere deve uscire dalla logica dell’auto elettrica a meno che l’Europa non decida di perdere il settore. Se un futuro possibile è il motore a idrogeno, su cui lo scenario competitivo è meno sfidante, allora varrebbe la pena allungare la vita al motore termico per chiudere il gap che ci separa dalla nuova tecnologia.
Dal punto di vista italiano Dongfeng non è e non può essere una soluzione al problema del settore auto nazionale. Meglio comunque una fabbrica in più che una in meno.
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