Sarà capitato a tutti: ci si siede al tavolo di un ristorante affamati, si viene ingolositi da menu ricchi e invitanti, si ordinano più portate, che però poi non si riescono a terminare. E così si lasciano nei piatti manicaretti che, gioco forza, sono candidati a prendere la strada della pattumiera.
Un vero e proprio “lusso” che un Paese come l’Italia in cui, secondo i dati della Fondazione Bdfn, ognuno di noi spreca 65 chili di cibo pro-capite l’anno, per comportamenti sbagliati nel consumo, in casa e al ristorante, non può permettersi.
Parte da qui la decisione di Giandiego Gatta, deputato di Forza Italia e responsabile nazionale dipartimento pesca e acquacoltura del partito azzurro, e di Paolo Barelli, presidente dei deputati di FI, di presentare una proposta di legge che prevede l’introduzione della obbligatorietà della cosiddetta “doggy bag”, ovvero di quel contenitore che permette di portare a casa gli avanzi di cibo ordinato, ma non consumato nei locali. Una pratica già piuttosto diffusa all’estero, che in Italia fatica a prendere piede. E che con questa legge si vorrebbe rendere invece una abitudine condivisa.
Secondo i punti analizzati dall’agenzia di stampa Agi, la nuova norma prevede che ogni ristorante e ogni locale nel quale sia fornito cibo al pubblico si debba dotare di “contenitori riutilizzabili o riciclabili per portare via ciò che il cliente non consuma in loco”. Spetta, però, a quest’ultimo richiederli. E non solo. La legge contempla un’altra possibilità: l’avventore può anche servirsi di un proprio contenitore, purché siano rispettati i “requisiti igienico sanitari per legge”.
I gestori che non dovessero rispettare le indicazioni della norma non mettendo a disposizione degli avventori la doggy bag, potrebbero incorrere in sanzioni che variano da 25 a 125 euro. E attenzione anche a non utilizzare questa prescrizione per ritoccare i listini. “Sono 6 centesimi in più per contenitore” liquida la questione Gatta, che considera pretestuosa qualsiasi contestazione alla legge basata sull’aggravio economico che potrebbe comportare per i ristoratori”.
Critica è invece la posizione di Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana pubblici esercizi, che da un lato, esprime apprezzamento “per un’iniziativa che accende un faro su un tema, quello della lotta contro gli sprechi alimentari, più che mai importante per garantire la sostenibilità delle abitudini dei consumatori”, ma dall’altro, ribadisce con fermezza che è proprio sulla capacità di responsabilizzare questi ultimi che si gioca la partita più importante.
“Introdurre l’obbligo in capo ai ristoranti non è la soluzione al problema dello spreco alimentare – si legge in una nota di FIPE -, perché la resistenza a chiedere di portarsi a casa il cibo non consumato viene proprio dai clienti, che già oggi, in realtà, possono usufruire di questa possibilità in qualsiasi ristorante del Paese. La proposta, dunque, dovrebbe includere iniziative capaci di sensibilizzare i clienti per convincerli ad abbattere le resistenze culturali, come la vergogna o l’imbarazzo, che spesso li scoraggiano dall’avanzare richieste al personale del locale. Proprio su quest’ultimo aspetto bisogna intervenire con determinazione al fine di diffondere una vera e propria cultura della sostenibilità alimentare basata sui concetti della conservazione, della rielaborazione e della valorizzazione di ogni parte del cibo, distintivi della cultura italiana”.
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