Sulle pagine del Corriere, Dolce e Gabbana si raccontano. Il duo ideatore della casa di alta moda, fondata nel 1985, si è incontrato a Milano, dove Domenico Dolce si è trasferito a 18 anni dalla Sicilia, dove è nato e cresciuto: “Sono arrivato il 15 aprile 1978. E proprio come nel film di Totò la prima cosa che ho fatto è stata andare a vedere il Duomo. Ho guardato in alto, ho guardato la Madonnina. E ho pregato. Fammi restare a Milano, le ho chiesto nella mia preghiera. Ho chiesto il suo aiuto per realizzare il mio sogno, diventare stilista. Chi viene qui, a Milano, oggi come allora, oggi come cent’anni fa, viene per realizzare un sogno. Grande o piccolo. Tutti con pari dignità. Il mio si è realizzato con l’aiuto della Madonna e con tanto, tanto la- voro. Ma proprio tanto”.
Oggi, al Nord e non solo, si parla di inclusione. Quasi cinquant’anni fa, però, non era affatto così. Dolce, al Corriere, ricorda: “Mi fa piacere che oggi si parli tanto di inclusione, perché io mi sono dovuto includere, da solo. Una conquista fatta giorno per giorno. La lezione che noi siciliani abbiamo imparato da bambini, per i racconti dei nonni, è che se ti guardano male tu abbassi la testa e lavori ancora di più”. Se Dolce si sente milanese doc dal primo momento in cui ha messo piede a Milano, per Gabbana è l’opposto. Lui, spiega al Corriere, è “Siciliano ad honorem dalla prima volta che ci sono andato con Domenico. Mi sono sentito a casa. Ogni volta c’è qualcosa di nuovo che mi incanta. E poi la gente è incredibile: ero ancora un ragazzo, andammo da questa signora che faceva dei pizzi meravigliosi, da couture, mai visto niente di simile. Però le citofonavi e dovevi sperare che avesse voglia di risponderti, o che non ti prendesse a male parole per qualche motivo misterioso. Era un’artista, che ci vuoi fare”.
Dolce e Gabbana: “Pregiudizi? I nostri vicini avevano paura”
Contro i due, non sono mancati i pregiudizi, non tanto legati all’omosessualità quanto al lavoro. Dolce e Gabbana, al Corriere, hanno raccontato: “I pregiudizi ci sono, anche a Milano, per tante cose, è la vita. Ma a noi è capitato anche di dover affrontare, un po’ a sorpresa, i pregiudizi verso chi lavora nella moda. Pensi che a noi due — e il mio essere siciliano non c’entrava, il problema era il lavoro che facciamo — tanti anni fa è toccato di dover rassicurare i nuovi vicini di casa….”.
La paura dei vicini? I due stilisti spiegano: “Temevano che due stilisti nel palazzo organizzassero feste tutte le sere fino all’alba. Proprio noi! Che per anni, all’inizio, non facevamo neanche le ferie ad agosto perché reinvestivamo nell’azienda fino all’ultima lira. Tuttora, quando arriviamo a casa dal lavoro, distrutti, altro che feste con Madonna — c’è giusto il tempo di cenare, ognuno a casa sua, di fare un po’ di zapping, sfogliare un libro che già ci si chiudono gli occhi. Però negli anni ’80 se dicevi che lavoravi nella moda la gente ti guardava strano. Settentrionale o meridionale che fossi”.