LA “DOLE” SCRIVE AL PAPA PER RETTIFICARE LA BIBBIA

«Disse il serpente alla donna: “È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?”. Rispose la donna al serpente: “Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”»: no, non siamo impazziti tutto d’un colpo e ci mettiamo a citare la Genesi così per sfizio. Ci tenevamo a ribadire un piccolo concetto che ci servirà poi col prosieguo dell’articolo che avete (coraggiosamente) cliccato giungendo qui: capita infatti che nel mezzo delle crisi più tremende della storia recente dell’umanità, tra guerre, pandemie, crisi energetiche e con inflazione che fa aumentare letteralmente la fame in gran parte del mondo, si arrivi a pagarsi una pagina di giornale per lanciare un appello nientemeno che a Papa Francesco.



Per la pace nel mondo? Per richieste in seno alla Chiesa? Per contestarlo/ringraziarlo di qualcosa? No, per una mela. Anzi, precisiamo, per la frutta in generale. L’azienda produttrice e distributrice di frutta nel mondo, la famosa “Dole”, ha pubblicato su “La Repubblica” una lunga lettera indirizzata a Papa Francesco in occasione della Giornata Internazionale della Frutta lo scorso 1 luglio. La lettera chiede – con tono ironico, va detto – di riabilitare pubblicamente la povera mela dopo migliaia di anni di infamie: considerata il simbolo del peccato per millenni, il frutto con il quale il serpente “tenta” la donna che poi a sua volta fa cadere in tentazione il primo uomo, Adamo. Ebbene, Pier Luigi Sigismondi – Presidente di Dole Packaged Foods & Beverages Group – arriva a chiedere nella pagina pubblicitaria di «rettificare la Bibbia» per riabilitare e salvaguardare il simbolo della frutta, magari inserendo invece un nuovo testo nella Genesi in grado di scagliarsi contro cibi ritenuti “più infimi e infami“. La mela sarebbe stata oggetto di «terribili calunnie» nel corso dei secoli in quanto scambiata con il “l’Albero del Bene e del Male”, su cui Adamo ed Eva erano stati avvertiti dal Signore di non doverne mangiare i suoi frutti: il termine che in greco rimanda al “frutto dell’albero” venne poi tradotto in latino con “mela”, radice alquanto vicina a “male”. La “Dole” scrive, sempre con aria scherzosa e ironica, che il Papa dovrebbe a questo punto rettificare il tutto e provare vie alternative.



IL FRUTTO PROIBITO E LA RICHIESTA (ASSURDA) SULLA FRUTTA

«Si potrebbe sostituire la “frutta” con un qualsiasi altro cibo malsano», si legge nella parte finale della lettera inviata da “Dole” a Papa Francesco, aggiungendo un «Comprendiamo che questa richiesta è un po’ audace e provocatoria e ovviamente non intendiamo mancare di rispetto a Sua Santità o alla Chiesa, Abbiamo pensato che, se riuscissimo a risolvere questa falsa rappresentazione della frutta, potremo dare il via a una nuova narrativa globale concentrata sui suoi benefici e creare nuove abitudini alimentari più sane, coerenti con il nostro purpose di portare una buona alimentazione a tutti».



Ora, ritorniamo a “bomba” con la citazione della Genesi: se è vero che nel corso dei secoli la Chiesa si è “aggiornata” su diverse parti della Bibbia, chiarendo meglio certi concetti e traducendo meglio i testi originali antichi – come avvenuto in occasione del “Padre Nostro”, da poco rinnovato per volontà di Papa Francesco – è altrettanto vero che arrivare a rettificare la Bibbia perché il riferimento alla frutta è troppo “ambientalmente scorretto” forse ne passa. Il tono della “Dole” è scherzoso ma trasmette comunque il messaggio voluto: per un futuro sostenibile, prendiamocela con quei cibi brutti e cattivi inventati dall’uomo, non scagliamoci sulla povera e innocente frutta. Come giustamente nota sull’Eco di Bergamo Francesco Anfossi, «se dovessimo chieder conto agli autori di simboli negativi, dovremmo bruciare come in “Fahrenheit 451” milioni di libri, visto che la simbologia è l’essenza di tanti capolavori della letteratura dell’Occidente e dell’Oriente». Il “nodo” della discordia – anzi, il “pomo” per restare in tema – sottende questioni già viste e dibattute in questi assurdi tempi moderni: se qualcosa rischia di “turbare” qualsivoglia sensibilità, allora si preferisce cancellare il passato e “rimodellarlo” a proprio piacimento. È la cultura “woke”, la “cancel culture” imperante e sempre più diffusa anche nel nostro Paese, sebbene delle “sentinelle” siano ancora sull’attenti per respingere un imbarbarimento culturale del genere. Deve essere tutto “corretto” seguendo però una “correzione” comunque sempre imposta da una categoria/una corrente/un movimento: invece di estendere la libertà, si rischia di privarla, financo nella “burla” sulla mela e il frutto proibito. Un testo si può contestarlo, decifrarlo, anche non accettarlo: però cancellarlo diventa assai pericoloso. Quello sì, un vero “peccato” a 360 gradi.