È possibile chiudere un dibattito su un tema spinoso… ma in realtà mai cominciato? È quello sul dolore fetale. Perché svolazzando sulla letteratura scientifica (oltre che sui giornali de noantri) più che un dibattito sembra una tenzone tra sordi, dove nessuno sente le idee e le scoperte dell’altro.
Tutto iniziò nel 1987 quando Sunny Anand, uno scienziato di origine Indù, il maggior esperto mondiale dell’argomento, pubblicò per primo qualcosa che avrebbe dovuto smuovere le coscienze, mentre venne accolto con malcelata sufficienza. Cosa dimostrò? Semplicemente che i bambini sentono il dolore. A voi sembra tanto ovvio? Invece no, dato che fino alla fine del secolo scorso gran parte dei neonati subiva interventi chirurgici senza anestesia. Per paura degli effetti collaterali degli anestetici, dirà qualcuno; per impossibilità che un neonato denunci il medico sadico, diranno altri. Fatto sta, che questo fatto, ormai documentato in letteratura è stato preso sul serio almeno dalle società scientifiche e ora non si fa più. Salvo che dobbiamo ammettere che il trattamento del dolore del bambino è ancora molto ma molto indietro: si pensi che non ci sono ancora che pochi farmaci antidolorifici sperimentati specificamente sul minore per vedere se provocano davvero benefici o danni collaterali (il minore non è un adulto in miniatura!).
Ma… l’articolo di Anand non si limitava a dimostrare il dolore del neonato ma esplicitamente parlava anche del dolore fetale, cioè di chi non è ancora nato. E questo ha oggi una importanza forte perché possiamo operare i feti prima che nascano, ma…non vogliamo garantire loro di non soffrire? Come potete immaginare, la politica ci ha messo la sua zampa e il dibattito è finito prima di nascere, tanto che ad oggi ci sono pochissimi studi direttamente fatti su feti per vedere, verificare e misurare il dolore. Recentemente è stata pubblicata una scala di valutazione specifica del dolore fetale, e resta per me il piacere di aver contribuito a cambiare radicalmente alcuni paletti (che sembravano dei dogmi) di una importante società scientifica, attraverso gli studi che ho pubblicato in tema.
Resta sempre il grande interrogativo sul perché i giornali che parlano di bioetica, i politici che ogni tanto la tirano fuori, ne parlino solo per i casi di fine-vita e quasi mai per il diritto al benessere dei più piccoli, come se questa non fosse bioetica (se volessimo essere severi, penseremmo che il primo modo fa audience di lettori e facile scontro TV e il secondo molto meno).
Un punto fermo in questo “non-dibattito” è stato messo in un numero speciale di una importante rivista medica: Frontiers in Pain Research, in cui vari scienziati hanno riportato lo stato delle conoscenze sull’argomento. Il titolo del numero speciale è significativo: Analgesia fetale: obbligo per i chirurghi, rompicapo per gli anestesisti. Chi si aspettava una conclusione “da bar dello sport”, cioè che i feti non sentono nessun dolore oppure che i feti appena concepiti sentono dolore, sarà per forza rimasto deluso, perché ancora c’è molto da sapere in questo campo e la scienza non è una tifoseria. Però alcune cose le sappiamo tutto ci mostra che il feto sente il dolore come un neonato e inizia a sentirlo quando siamo verso la metà della gravidanza. Non sappiamo come sarà precisamente questo dolore, perché per saperlo il soggetto dovrebbe parlare; ma ormai esistono e vengono applicati dai chirurghi dei seri protocolli di anestesia sul feto quando viene operato prima di nascere.
Perché ci interessa tanto questo tema, tanto che lo ho voluto proporre io alla rivista che lo ha pubblicato e sono stato nominato Guest Editor di questo special issue? Perché è il tema di chi soffre verosimilmente e non può parlare, non può lamentarsi. È il tema del bambino disabile mentale che non sa esprimersi (o meglio, siamo noi che non sappiamo capirlo); è il tema del paziente in coma che sente dolore ma non lo esprime; è il tema del soggetto depresso che tiene dentro di sé il suo dolore e muore dentro di sé pur di non manifestarlo per paura, timidezza o sfiducia.
Ecco perché invitiamo tutti a prendere in seria considerazione questo tema: non basta una giornata all’anno per chiacchierare di dolore e lamentarsi che si dà poco paracetamolo o che si dà troppa morfina! Il dolore è pane quotidiano, e per qualcuno questo pane è amarissimo, ha un sapore repellente: eppure la società finge di non vedere, o almeno non vede quanto basta.
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