Nella giornata di ieri è stata posata una lapide di marmo a Milano in memoria di don Angelo Tarticchio, un giovane sacerdote originario di Istria, che la notte del 16 settembre del 1943 era stato prelevato dai partigiani comunisti di Tito, quindi infoibato dopo sevizie assieme ad altri 43 parrocchiani, come ricorda il sito di Avvenire.it. Quando venne riesumato, il suo cadavere venne trovato nudo, mutilato, e con una corona di spine in fil di ferro. Non sono comunque mancate le polemiche visto che Samuele Piscina, presidente del Municipio 2 di Milano (quello dove è stata posta la lapide), ha accusato il comune meneghino di aver censurato la lapide, avendo trasformato la frase “infoibato dai comunisti jugoslavi di Tito” con “dalle milizie jugoslave di Tito”.



Piscina, come riferisce Avvenire, avrebbero spiegato: “Pensavo che questo potesse essere un momento per ricordare una parte di storia per troppi anni volontariamente nascosta. Duole constatare che non sia stato così per tutti: il Comune di Milano ha inspiegabilmente osteggiato l’iniziativa appellandosi a normative…”. Secondo Piscina il diktat di togliere la parole “comunista” dalla lapida gli sarebbe giunto due giorni fa dal capo di gabinetto del Sindaco Sala.



DON ANGELO TARTICCHIO, LAPIDE POSATA A MILANO: NON SONO MANCATE LE POLEMICHE…

“La procedura corretta per chiunque a Milano voglia apporre una targa – ha precisato a l’Avvenire lo stesso Comune – è di presentare il progetto al Comitato Milano è Memoria, istituito per tutte le ricorrenze e le celebrazioni. Il Municipio 2 solo venerdì mattina, giorno prima della posa della targa, ha presentato regolare domanda, ora verrà vagliata e seguirà l’iter uguale per tutti”, precisando che sulla parola “comunisti” da censurare, “nessuno si è mai sognato di chiedere una cosa del genere, sarebbe negare la storia”.



In seguito sulla lapide del povero infoibato don Angelo Tarticchio, è giunta la retromarcia dello stesso Piscina, che ha spiegato che si era trattato “di un consiglio informale, arrivato da un funzionario di Palazzo Marino, non a me direttamente ma alla mia dirigente, in modo orale e senza alcuna ufficialità”.