PROTESTE IRAN, L’APPELLO DI DON LUIGI CIOTTI ALL’OCCIDENTE

Da Fahimeh Karimi a Mahsa Amini, la maxi ondata di proteste in Iran non racconta solo di un popolo che prova a ribellarsi all’ideologia totalitaria opprimente del regime, ma può dire molto di come l’intera società mondiale si “rapporta” con il potere e l’oppressione: ne è convinto Don Luigi Ciotti, sacerdote fondatore di “Libera”, intervistato su “La Stampa” dopo aver firmato l’appello per la liberazione di Fahimeh Karimi. Allenatrice di pallavolo e madre di tre bambini piccoli, la donna iraniana è stata condannata a morte per aver dato un calcio a un paramilitare Basiji durante le proteste seguite alla morte di Mahsa Amini (a sua volta uccisa per non aver messo correttamente il velo islamico). «Sono uno dei firmatari perché penso sia giusto e doveroso firmare. Ma penso anche che per impedire un’ingiustizia non bastino le firme dei cittadini né le condanne dei singoli governi», spiega con schiettezza il sacerdote famoso per la sua lotta alla criminalità organizzata di tutte le mafie.



Serve un’azione comune secondo Don Ciotti per poter far sì che la vicenda delle proteste in Iran non rimanga vana e “rimangiata” dal regime islamista sciita: attacca in questo l’immobilismo (e non solo) dell’Occidente, in quanto osserva «Occorre un’azione comune – non solo dell’Europa ma dell’intero mondo occidentale – contro il Paese che intende commettere l’ingiustizia perché sia chiaro che il suo atto non resterà impunito ma avrà conseguenze pratiche e materiali nei rapporti col resto del mondo. Il problema, enorme, è che l’Occidente manca della credibilità etica per stabilire criteri morali. La debolezza culturale dell’Occidente sta nella sua povertà etica, povertà che viene dall’aver sostituito il bene comune con l’interesse privato. Non si può dettare legge senza un’etica, cioè senza coerenza tra princìpi e azioni». Don Luigi Ciotti parla di «tradizione millenaria» di civiltà occidentale che viene tradita ogni qualvolta non si arrivino a difendere i deboli, i perseguitati e gli “ultimi”.



IRAN E UCRAINA, IL COMMENTO DI DON CIOTTI: “LA LIBERTÀ È PERCORSO”

Secondo l’analisi di Don Luigi Ciotti ai microfoni de “La Stampa” vi è una disparità «evidente» tra l’attenzione riservata all’Iran rispetto alla cruda guerra in Ucraina che prosegue da ormai il 24 febbrai scorso: «Mi pare evidente, la disparità, e la ritengo uno degli effetti del dominio globale della logica dell’interesse privato. Finché non avremo il coraggio di guardare al di là del nostro naso e impegnarci anche per ciò che non ci tocca direttamente dal punto di vista materiale, ma ci ferisce da quello etico-morale, non saremo in grado di costruire un mondo più giusto e più umano». Occorre seguire la libertà che però non può essere “statica” o “comoda”, secondo il sacerdote molto duro contro il regime iraniano (senza però mai citarne la matrice dichiaratamente filo islamista, ndr).



«I giovani che protestano in Iran ci insegnano che la libertà e la democrazia non sono appunto beni su cui si può “campare di rendita”. La libertà è un percorso, un processo: si diventa liberi e non si smette mai di diventarlo. Anche perché la libertà è il più prezioso e, al tempo stesso, il più esigente dei beni comuni in quanto ideale che aspira all’universalità: si è liberi solo quando anche tutti gli altri lo sono»: piena libertà, secondo Don Ciotti, non è mai riferita alla “mera” sfera individuale, altrimenti «diventa arbitrio, rivendicazione di potere, che è la grande malattia del mondo occidentale. La libertà è l’esatto contrario dell’arbitrio, la libertà è il compito che ci assegna la vita: quello d’impegnarla e impegnarci per liberare chi ancora libero non è». Il vero desiderio di libertà però, ammette lucidamente Don Luigi Ciotti, potrà realizzarsi in Iran (e non solo) solo se «verificheranno quelle condizioni di mobilitazione globale dell’Occidente a cui accennavo. Altrimenti prevarrà la repressione anche violenta e cruenta. Ma il sostegno alla lotta dei giovani e in particolare delle donne iraniane potrà essere importante se l’Occidente per primo avrà il coraggio di affidare alle donne, oltre che pari diritti, uguali e maggiori responsabilità».