Storie Italiane ha ospitato Don Coluccia, il prete che da anni lotta contro la mafia e le violenze, e che lo scorso agosto è stato aggredito in quel di Tor Bella Monaca, a Roma. Già due settimane fa, subito dopo il fattaccio, Don Coluccia aveva raccontato: “Continuo a fare quello che faccio ogni giorno, non ho paura”. Oggi ha spiegato: “Per grazia di Dio sono qui, potevo non esserci e ringrazio gli uomini della polizia di stato. Cosa è successo? Io faccio queste marce contro lo spaccio, ero a Tor Bella Monaca, già in passato attenzionata da me perchè avevo denunciato una crack house, un locale che veniva gestito per la droga da alcuni ragazzi e vedette. In questo quartiere non ci sono solo persone italiane ma anche molti nordafricani, sono legati alla criminalità e sono giovani”.



E ancora: “Io stavo, lì stavo facendo la mia attività, poi ad un certo punto attraverso la strada, arriva questo scooterone di grossa cilindrata, il tizio con il casco si è fermato, mi ha fatto passare e dopo di che ha dato un’accelerata e l’uomo della scorta mi ha spinto, ed è stato preso in pieno lui, che è stato poi trascinato e sbattuto sulle macchine”.



DON COLUCCIA: “UN AGENTE DELLA MIA SCORTA HA SPARATO”

Ma non è finita qui: “Mi hanno messo in macchina – ha proseguito Don Coluccia – e un altro agente della scorta ha sparato per fermare quel ragazzo, lui poi ha continuato ed è stato preso dalla polizia dove c’è stata anche una colluttazione. Anche lui era armato, aveva un machete. Voleva uccidermi? Non penso che uno investa gli altri sulle strisce pedonali così per così. Dispiace perchè questo per me rappresenta un fallimento, era un ragazzo giovanissimo. Noi parliamo di Tor Bella Monaca e della città di Roma. Noi dobbiamo andare in questi quartieri e parlare con i cittadini che vivono lì, che hanno paura di tutto, perchè i criminali comandano”.



“La camorra come la ndrangheta come altre mafie hanno il narcotraffico sulle città, è un welfare – ha aggiunto Don Antonio Coluccia – come il racket delle case occupate: in questi palazzi dobbiamo capire chi vi abita. Quelli che appartengono ai criminali devono uscire da queste case, sono il tumore di queste zone e rubano i sogni ai bambini. I bimbi cercano l’emulazione: quando vedono la vedetta tutta griffata con la moto diventa un simbolo da emulare”.