Don Davide Banzato a “Che tempo che fa” presenta il suo nuovo libro “Tutto ma prete mai”, che ha una genesi ben precisa. “Questa frase, ovvero il titolo del libro, l’ho veramente gridata al cielo in un momento che della mia vita che racconto”, ha raccontato, precisando di aver scritto in quattro anni il libro soprattutto per se stesso. “Non pensavo alla pubblicazione”, ha aggiunto ospite da Fabio Fazio. A proposito della fede ha spiegato: “Non è che risponde e risolve i tuoi Problemi, ma ti sostiene per affrontarli”. A proposito della possibilità di vivere il sacerdozio con una famiglia: “Esiste ed è stata un’opzione anche nella chiesa cattolica per molto tempo. Oggi non è così per una scelta precisa”. Ciò lo porta a parlare della vocazione: “Vocazione non è essere prete o suora. Sarebbe riduttivo. C’è la vocazione all’amore. Quanto amiamo e quanto siamo capaci di amare. Questa è la vera vocazione dell’uomo. E questa è una vocazione che ora tutti possiamo decidere”.



Infine, sul Brasile: “I bambini in Brasile nelle Favelas, hanno situazioni drammatiche. Però hanno una luce negli occhi, sanno sorridere di niente. I nostri bambini al quinto regalo sono ancora tristi. Forse la vera missione è là dove siamo”. (agg. di Silvana Palazzo)

Don Davide Banzato a Che tempo che fa

S’intitola emblematicamente Tutto ma prete mai, il nuovo libro di don Davide Banzato presentato a Che tempo che fa in cui il sacerdote racconta la storia della sua vocazione e le ragioni dietro scelta di dedicare il suo ministero al sostegno dei più deboli. Don Davide, in particolare, è l’assistente spirituale dell’associazione Nuovi Orizzonti fondata da Chiara Amirante, anche lei particolarmente attiva nelle missioni sociali. ‘Evangelizzazione di strada’, la chiamano nell’ambiente: in effetti, in questi anni, sia Chiara che don Davide si sono spesi molto per la cura dei ragazzi ‘difficili’, dai tossicodipendenti agli ex detenuti, e la pubblicazione di questo libro non è altro che l’ennesimo gesto di vicinanza nei confronti dei tanti giovani che ha incontrato e che in fondo – come tutti – non fanno altro che cercare il loro posto nel mondo.



Un tempo, l’indeciso e il ‘ribelle’ era proprio lui, don Davide: “Sono entrato nel seminario minore di Padova per circostanze apparentemente casuali, incantato da una struttura con 7 campi da calcio e tanti giovani che vedevo spensierati durante i raduni diocesani”, racconta il presbitero. “La realtà mi si rivelò diversa quando mi trovai come seminarista sradicato dalla famiglia e ferito da un modello educativo fuori del tempo in una ‘campana di vetro’”.

Don Davide Banzato: “Ecco cosa mi colpì di Nuovi Orizzonti”

Da lì, la scelta azzardata di volgersi indietro: “Ero uscito dal seminario e mi ero allontanato dalla Chiesa e da Dio”, prosegue, “avevo avuto anche due esperienze come fidanzato”. Poi, però, si rese conto di aver sbagliato: “A diciotto anni arrivai al Piglio, convertito dopo l’incontro con Chiara Amirante e contro il parere dei miei genitori che non volevano che mi avventurassi in un mondo dove avrei incontrato ragazzi di cui molti ex tossici ed altri che Chiara aveva raccolto lungo le strade di Roma per redimerli in Comunità. Lasciai tutto ed arrivai in provincia di Frosinone nel 1999”. Effettivamente, Dio lo chiamava proprio al sacerdozio, ed era solo questione di tempo prima che qualcosa – Qualcuno – tornasse a scuoterlo dolcemente.



Don Davide Banzato spiega che fu proprio Chiara a fargli rivalutare quella decisione presa forse troppo un po’ in fretta. Del movimento della Amirante, dice, lo colpì “l’aderenza completa al Vangelo”: “Gesù predicava nelle strade e nelle piazze e Chiara possiamo dire che riportava il Vangelo dove era nato”. Da allora, insieme a lei, propone ai giovani un’alternativa concreta di vita.

Don Davide Banzato racconta la sua gioventù

Le vicende di alcuni ragazzi che entrano a far parte di Nuovi Orizzonti sono davvero tragiche, sicuramente diverse da quelle personali di don Davide Banzato. Nonostante ciò, in qualche modo, don Davide li sente davvero ‘figli’ nel senso più autentico del termine, rispecchiandosi in loro e riscoprendoli in un certo senso somiglianti a quel ragazzo insicuro che un tempo era lui: “Quando ho capito che scaricavo la colpa a Dio ed alla Chiesa per il mio malessere mi sono come guardato allo specchio, perché la colpa era soltanto mia che avevo messo Dio in disparte. Il mio pianto diventò di gioia quando vidi nel volto dei ragazzi in comunità la gioia di ricominciare e di vivere insieme”.