Caro direttore,
capisco che dovere dare una risposta in 40 secondi (per esigenze televisive) possa indurre in qualche errore. Ma quando si parla di una persona straordinaria come il Servo di Dio don Luigi Giussani occorrerebbe stare più attenti, sia nei tempi che nelle parole. Ho avuto questa pensiero nel leggere la risposta, ai margini di una trasmissione televisiva, che Fernando De Haro, come riferisce lui stesso, ha dato, in 40 secondi, alla domanda “cosa ti ha colpito di più in don Giussani”. Probabilmente la domanda gli è stata posta in quanto De Haro ha recentemente scritto una nuova biografia di don Giussani, di cui, molto sinceramente, non sentivo il bisogno, visto che già esiste da alcuni anni la monumentale Vita di don Giussani, scritta da Alberto Savorana. Questa è stata la risposta di De Haro: “Mi ha colpito fin dall’inizio il fatto che Giussani non pretende di dirti cosa devi pensare o sentire, non vuole che tu acquisisca idee. Ti dà un metodo per fare un percorso umano”.
Per lealtà verso me stesso e verso la storia a cui partecipo da più di 60 anni grazie proprio a don Giussani, vorrei esprimere le mie perplessità nei confronti di questa risposta, dato che le parole, anche se dette sinteticamente, sono sempre molto importanti e possono creare seri equivoci.
La risposta di De Haro potrebbe essere accettabile solo nel senso che don Giussani non ha mai voluto imporre nulla a nessuno, perché amava troppo la libertà delle persone e, in particolare, dei giovani a cui si rivolgeva. In una memorabile occasione, don Giussani ebbe a dire a migliaia di giovani che lui aveva scommesso tutto sulla loro libertà. Egli era tanto deciso nell’annuncio quanto era pieno di carità e di delicatezza nei rapporti con la libertà di ciascuno. Ed era infaticabile (ha dato per questo tutta la sua vita) nel farci la proposta cristiana nella sua integralità, cioè con al centro Cristo e non altro.
Ma la risposta letterale di De Haro, letta nella sua interezza, non può non suscitare grandi perplessità, se non altro perché sembra ridurre l’esperienza e l’annuncio di don Giussani a quella di un bravo pedagogo neutrale, solo dedito a trasmettere un “metodo” e non un contenuto ben preciso, con idee ed esperienze ben precise.
Se De Haro avesse avuto la fortuna di frequentare don Giussani in tutto il suo incomparabile percorso, avrebbe potuto constatare che il nostro grande Servo di Dio aveva un’unica, profonda ed esistenziale preoccupazione, che era quella di annunciare, con convinzione, la pertinenza di Gesù Cristo con ogni aspetto della vita umana. Lo stesso card. Martini, arcivescovo di Milano, che pure proveniva da esperienze diverse, scrisse a don Giussani, in occasione del suo cinquantesimo di ordinazione sacerdotale, che il suo carisma era incentrato sull’urgenza di annunciare al mondo di oggi la verità dell’incarnazione di Dio nella persona di Gesù. Dice lo stesso Giussani, ricordando il suo primo giorno di insegnamento al Berchet nell’ottobre del 1954, che salì i gradini di quella scuola “con il cuore tutto gonfio dal pensiero che Cristo è tutto per la vita dell’uomo, è il cuore della vita dell’uomo”: e Savorana (pagina 162) aggiunge: “questa notizia doveva raggiungere quei giovani, per la loro felicità”. Cristo era ed è al centro di tutto ed il “metodo” serviva a rendere più credibile ed accettabile l’annuncio di Cristo.
Le prime parole scritte da don Giussani a commento dell’esperienza che stava compiendosi in Gioventù Studentesca sono contenute nel libretto (per noi era il mitico “libretto verde”), scritto nel 1959, intitolato Riflessioni sopra un’esperienza. Il primo capitolo era intitolato “Direttive metodologiche per il richiamo” ed erano queste: “Il richiamo cristiano deve essere: – deciso come gesto; – elementare nella comunicazione; – integrale nelle dimensioni: cultura, carità, missione; – comunitario nella realizzazione”. Mi ha sempre colpito che la prima parola usata da don Giussani nel primo scritto circa l’esperienza che stava facendo sia stata una parola missionaria: “richiamo”, parola che sintetizza in sé la decisione che deve avere l’annuncio di Cristo, ma anche la delicatezza con cui ci si rivolge alla libertà di tutti.
Il libretto qui richiamato è stato poi ripubblicato, insieme ad altri due, nel volume intitolato Il cammino al vero è un’esperienza, edito la prima volta nel 1995 dalla SEI. Nella introduzione (interessantissima e tutti dovrebbero rileggerla) a tale libro, don Giussani sottolineava la coerenza con cui il Movimento ha sempre vissuto le considerazioni contenute in quei tre primi libretti e poi scriveva: “L’incontro con il compagno di scuola che proponeva il foglietto con l’ordine del giorno del ‘raggio’, o l’invito alla recita delle ‘ore’ o a una vacanza in montagna, o la battaglia culturale e civile per la libertà di educazione, fu per molti la riscoperta del valore umano della fede, e il gusto per la verifica di una posizione cristiana di fronte alla totalità del reale che non si concepiva in opposizione all’uso della ragione, ma lo esaltava chiarendo la vera struttura e la dinamica di apertura alla realtà che è la natura ultima della ragione stessa. Cosa c’entra tutto (dalla vacanza alla matematica, dall’innamorarsi all’impegno civile) con Cristo? Questa era la questione che ci muoveva. Vale a dire la riscoperta, in termini d’esperienza, del significato del termine cattolico”.
Stando “dentro” questa esperienza, ogni “io” acquistava compiuto senso e forte personalità grazie ad un “noi” donatoci. Appartenendo senza esitazioni al popolo che nacque intorno a don Giussani, abbiamo, con stupore, visto con i nostri occhi il miracolo di accadere cose nuove, attraverso la testimonianza di un numero straordinario di persone cambiate, nel tempo, da questa appartenenza. Ed il cambiamento ha portato a intessere rapporti nuovi, a costruire opere nuove, a formulare giudizi nuovi anche riferiti alla vita civile e politica e, perché no?, anche ad avere idee nuove, come conseguenza di una sorprendente (perché dovuta alla grazia pura di Dio) esperienza intorno alla presenza concreta e materiale di Cristo. Il “metodo” non ci ha lasciati soli con i nostri pensieri e con le nostre indagini psicologiche, ma ci ha introdotto in una vita piena di avventure e di novità: il Vangelo lo chiama “centuplo”. La Comunione ci ha liberato, anche con tutti i nostri limiti ed i nostri peccati.
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