Aveva 28 anni Marisa Diana quando suo fratello, conosciuto da tutti come Don Peppe, venne ucciso nella sua chiesa a Casal di Principe. Trent’anni dopo, la donna vive ancora in quel territorio, in quel comune di origine della sua famiglia. Qui fa l’insegnante e porta avanti l’esempio del fratello con la speranza che la missione del sacerdote, ucciso il 19 marzo del 1994, porti i suoi frutti. A Il Mattino, Marisa racconta l’esempio di suo fratello, che per lei e per tanti era “un sacerdote e un uomo che annunciava i valori e la verità della fede nella sua semplicità. E che si sforzava di metterli in pratica ogni giorno, restando vicino alla sua gente, alla sua comunità”.



Don Peppe “aveva l’oratorio sempre aperto, sempre Ivo, sempre al centro di iniziative che rendessero concreto il senso di essere cittadini e cristiani in una comunità: leggere il Vangelo, ma anche suonare la chitarra, fare doposcuola ai più piccoli, nel valore del Cristianesimo: tutto ciò era mio fratello, don Peppino Diana”. La missione lo aveva esposto alla Camorra: “Quando eravamo a cena, la sera, mio fratello appariva preoccupato per i tanti giovani che finivano nelle trame della camorra” racconta ancora Marisa.



Don Peppe Diana, la sorella: “Abbiamo lottato contro la macchina del fango”

Dopo la morte di Don Peppe Diana ci sono voluti anni per arrivare alla verità sulla sua figura. “Abbiamo dovuto lottare contro la macchina del fango, da parte di chi aveva interesse a far emergere una figura non reale di mio fratello. Una strategia trasversale finalizzata a mettere in cattiva luce il suo operato. Contro queste macchinazioni abbiamo reagito, facendo leva su fatti concreti e smontando di volta in volta anche le falsità che approdavano su alcuni giornali”. A distanza di trent’anni, Marisa Diana ringrazia le autorità “che hanno lavorato per far emergere una verità granitica: mio fratello venne ucciso dalla camorra, nella sua chiesa, per l’azione quotidiana svolta”.



In trent’anni, Casal di Principe è cambiata: “Lo scenario è migliorato, alcuni clan sono stati smantellati, ma una certa mentalità deve cambiare ancora, anzi, deve essere completamente sradicata. La battaglia ora è anche di carattere culturale: è una questione di valori condivisi che devono coinvolgere sempre più persone. È l’idea del popolo in cammino o del manifesto per amore del mio popolo che rappresentano la nostra stella polare anche a trent’anni dall’orrore toccato a mio fratello”. Proprio l’esempio di Don Peppe, Marisa chiede che non sia vano.