“DON PEPPE DIANA E DON PINO PUGLISI SONO MARTIRI DI FEDE E GIUSTIZIA”: IL RICORDO DEL MAGISTRATO PATRONAGGIO
Era il 19 marzo 1994 quando Don Peppe Diana, appassionato prete di Casal di Principe, veniva assassinato dalla Camorra proprio per il suo profondo impegno antimafia e le sue opere educative per salvare i ragazzi dai clan: mentre nel Comune del Casertano sono andati in scena cortei e cerimonie per il trentennale dell’attentato, “Avvenire” ha intervistato il magistrato Luigi Patronaggio che ha condotto l’inchiesta sulla morte di un altro sacerdote antimafia, il palermitano Don Pino Puglisi. «Don Peppe e Don Pino sono morti perché hanno tentato di liberare le coscienze dei cittadini rendendoli uomini liberi», spiega l’attuale procuratore generale di Cagliari dopo una lunga carriera in prima linea contro Cosa Nostra
Da Brancaccio a Casal di Principe, le storie di due importanti testimoni di educazione si intrecciano indissolubilmente: «Don Puglisi e don Diana sono due mirabili esempi di come deve essere vissuto il ministero sacerdotale in terre di mafia. Don Diana diceva che l’attività delle parrocchie doveva essere “segno di contraddizione” e auspicava una “ministerialità di liberazione”», spiega il giudice Patronaggio illustrando il linguaggio semplice e schietto che questi due sacerdoti sapevano incarnare nella loro missione. Le mafie davanti a Don Puglisi e Don Diana li vedevano come autentici nemici pericolosi, erano un ostacolo per il tentativo malavitoso di schiavizzare le coscienze dei più giovani: sfidarono la mafia puntando su un futuro diverso dalla sopraffazione e per questo, osserva Patronaggio, furono uccisi. Don Pino e Don Peppe avrebbero odiato il termine “preti antimafia”, spiega ancora il magistrato al quotidiano della CEI: «A me piace pensare a don Pino e a don Diana come dei preti della liberazione in nome di Cristo e perciò martiri per la fede e per la giustizia».
LA LETTERA DEL CARD. ZUPPI PER I 30 ANNI DALLA MORTE DI DON PEPPE DIANA
Lasciati soli dallo Stato e anche da parte della Chiesa, almeno fino al 1992 quando il richiamo fortissimo di Papa Giovanni Paolo II alla Valle dei Templi non lasciò più nessuno scampo alle mafie: il Santo Padre polacco arrivò a scomunicare i mafiosi e da allora la comunità cattolica considera la mafia «come un cancro della società e le organizzazioni mafiose come strutture di peccato. Se in passato qualche sacerdote ha vissuto in solitudine il suo ministero, oggi i vescovi della Sicilia hanno, con un recente vibrante documento, ribadito la loro posizione di forte contrasto alla mafia». Don Peppe Diana in Campania e Don Pino Puglisi in Sicilia insegnavano ai ragazzi e alle loro famiglie che c’è un’altra vita oltre alla criminalità, liberarono le coscienze rompendo lo schema soffocante dei clan: conclude così Patronaggio, spiegando come «la mafia vuole dei sacerdoti proni al potere mafioso, impegnati solo nelle celebrazioni liturgiche, mentre temono e odiano i sacerdoti che lavorano nei territori e nelle periferie per insegnare alla gente a diventare uomini liberi». Questi sacerdoti, conclude, «contendono il controllo del territorio e delle coscienze della gente all’antistato mafioso e questo viene vissuto come un affronto da punire».
In occasione dei 30 anni dalla morte di Don Diana, il presidente della CEI, Card. Matteo Maria Zuppi, ha scritto una lettera inviata al vescovo di Aversa Mons. Angelo Spinillo e a tutta la comunità campana: «desidero esprimere la mia vicinanza alla celebrazione in ricordo di Don Peppino Diana. Era davvero un custode, come San Giuseppe di cui portava il nome e che per spregio proprio nel giorno della sua memoria è stato ucciso. Un uomo di Dio, un testimone semplice e coraggioso, appassionato del suo Signore e per questo senza compromessi con chi offende l’umanità e Dio». La testimonianza di Don Peppe Diana era senza ambiguità, scrive ancora l’arcivescovo di Bologna, era come luce nelle tenebre della violenza mafiosa, aiutava a guardare Dio e a non rimanere indifferenti: «Don Peppino è una luce di speranza. Il suo sacrificio è il seme caduto a terra per la viltà di un assassino e del sistema di morte che si portava dentro e lo accecava. Il seme continua a dare frutto: l’amore per i poveri, l’attenzione ai fragili, la giustizia nei comportamenti, l’onesta che non accetta opportunismi, rendere il mondo migliore di come lo abbiamo trovato, come ricorda la legge scout che ha amato».