Il bene e la giustizia a cui gli uomini possono aspirare, l’impegno teso a guarire le ferite di vite sventurate, si rivelerebbe fragile, destinato a una disperante sconfitta, se non fosse animato dalla potenza divina, ancorato all’origine dell’intera vicenda umana e alla sua stessa esistenza. Questo il messaggio dirompente affiorato durante la celebrazione in cattedrale di Como in suffragio di don Roberto Malgesini, il prete che ha investito tutto sé stesso nell’amore del prossimo.
L’uomo giusto, il “santo della porta accanto” non ha lasciato solo un’assenza, il rimpianto per la sua scomparsa, ma era misteriosamente presente e unito a quella folla di persone che, pur nel distanziamento da rispettare, ha riempito anche gli spazi esterni al duomo e le piazze adiacenti. L’eco di tante parole della liturgia confermava che “l’amore non muore mai, neppure con la morte” e che la comunione fra gli uomini è generata da un avvenimento che trascende la consonanza di idee e le logiche di una progettualità culturale o politica.
Questa stessa verità, che nel mistero della Resurrezione rappresenta il fulcro di ogni liturgia cristiana, ha rivelato una profondità forse a molti sconosciuta nell’agire di don Roberto che tutti ricordano per la prontezza con cui rispondeva alle necessità, a volte impellenti, di quanti chiedevano cibo, un riparo per la notte, un medico, un consiglio, un lavoro… Forse non tutti avevano intuito o pienamente afferrato il suo segreto, il segreto di quel suo sorriso sereno, luminoso, quello che tutti sorprendeva e rincuorava, quasi l’espressione naturale di chi non si sente oppresso dalle molteplici richieste da esaudire, non si sente mai povero di risorse per andare incontro agli altri, mai solo.
“Don Roberto non è solo un ‘martire della carità’, ma è anche un ‘martire della misericordia’. La carità e l’amore si donano, ma è proprio della misericordia andare oltre, fino a spogliarsi di sé, farsi piccoli e umiliarsi. Per questo la misericordia è vulnerabile e per questo il male alza continuamente contro di lei il suo calcagno, come fece contro il Figlio di Dio” ha suggerito il vescovo di Como Oscar Cantoni andando al cuore di un uomo totalmente libero perché totalmente affidato a un Altro. Una libertà altra e divergente rispetto alla concezione dell’odierna cultura che tende a rinchiudere l’essere umano nella gabbia della propria autosufficienza, padrone assoluto del proprio agire, dei propri desideri da convertire in presunti diritti.
Un vero sovvertimento di prospettive, rispetto alla mentalità imperante, è stato espresso secondo lo stile proprio del sacerdote che non ha mai rilasciato proclami o dichiarazioni eclatanti per affermare il riconoscimento della dignità umana anche a chi, carico di sventure e fallimenti, sembrava averla annebbiata, infangata, forse persino smarrita. Don Roberto riconosceva la dignità e la libertà dell’altro, chiunque fosse e in qualunque condizione versasse, ravvisando nel prossimo “la carne di Cristo”. E anche Papa Francesco ha voluto esprimere la sua vicinanza a quel prete valtellinese, umile testimone della carità, nella presenza del cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere pontificio, che ha presieduto la celebrazione rafforzando il sentimento di un abbraccio sconfinato. “Caro Gesù, aiutami a diffondere la tua fragranza ovunque vada. Inonda la mia anima con il tuo Spirito e la tua vita… Risplendi attraverso di me, e sii così presente in me, che ogni anima con cui vengo a contatto sperimenti la tua presenza nella mia anima”: nelle parole di una preghiera del santo John Henry Newman, che amava recitare anche madre Teresa di Calcutta, il cardinale Krajewski ha riconosciuto lo stesso anelito che quotidianamente ispirava l’azione del sacerdote che ha donato la vita. La stessa inimmaginabile gratuità di Dio è stata espressa in un pensiero del Pontefice che fra i destinatari di un rosario previsto per i tanti amici, per i volontari e per i genitori di don Roberto, ha pensato anche a Ridha Mahmoudi, l’omicida detenuto nel carcere di Como, cui sarà consegnato lo stesso dono.