Gli immigrati? Un segno di Dio, un miracolo per far soldi. È quanto emerge da un’indagine che vede coinvolto don Antonio Zanotti, che a Bergamo gestiva fiumi di denaro pubblico, eppure tagliava le spese sul cibo per gli stranieri. Questi erano sfruttati e trattati in modo indegno dal frate, che peraltro era già noto alle cronache per un’altra pesante accusa. Dal 2017 è indagato per abusi sessuali su un migrante che sarebbero avvenuti proprio in uno dei suoi centri. Tutto è cominciato dalla visita dei carabinieri a un centro di Fontanella dopo che un’operatrice aveva denunciato una violenza da parte di un ospite straniero. Ma le forze dell’ordine hanno scoperto traffici condotti a spese dei cittadini italiani e sulla pelle degli immigrati, che per don Zanotti erano un tesoro personale. In un’intercettazione del 2018, riportata da La Verità, parlava di una promessa della Madonna, che gli avrebbe dato tutto quello di cui ha bisogno. Era al telefono con la collaboratrice Anna Maria Preceruti, a cui raccontò i suoi momenti difficili e la fortuna arrivata con quelli di colore.



DON ZANOTTI, TRUFFA SUI MIGRANTI: INTERCETTAZIONI CHOC

Il religioso si comporta da spietato uomo d’affari, ma il problema è che i soldi non sono suoi e soprattutto che non ha a che fare con merci, ma con persone. Le strutture che gestisce comunque ricevono fiumi di soldi che il prete ovviamente non vuole che vengano spesi. Ai collaboratori urlava intimandogli di non spendere troppo in verdura e frutta, ad esempio. Ci sono le intercettazioni di due dipendenti che ricostruiscono alcuni intrecci: l’autista pagato mille euro per tre ore a settimana, i 17mila euro tenuti in casa e poi rubati, ma guai a spendere 2 euro per la frutta agli stranieri. Attorno alla coop giravano tantissimi soldi: circa 5 milioni di euro dalla prefettura di Bergamo, 600mila da quella di Como, 500mila da Lodi e altri ancora da Milano, riporta La Verità. Secondo gli investigatori, don Antonio Zanotti usava questi soldi destinati all’accoglienza dei migranti «per mantenere in vita le attività commerciali e produttive create all’interno della cooperativa al solo fine di generare fondi neri dai quali poter attingere denaro per scopi personali». Parte dei soldi che arrivavano, ad esempio, li usava per comprare mobili da rivedere. Nel frattempo tagliava le spese per i profughi.

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