Ha destato scalpore la decisione di destituire lo speaker della Camera, Kevin McCarthy, un passo indietro propiziato dai Repubblicani trumpiani che hanno accusato l’ex numero uno della Camera di essersi accordato con i Democratici per evitare lo shutdown, andando contro quindi la linea del suo stesso partito. Ed ora non è da escludere che il prossimo speaker della Camera possa essere Donald Trump. E’ questa la bomba sganciata dal quotidiano americano Politico, fonte ritenuta assolutamente autorevole, secondo cui il tycoon visiterà il Campidoglio la prossima settimana, per poi presentare appunto la sua candidatura.
L’elezione è prevista mercoledì prossimo, di conseguenza il miliardario a stelle strisce dovrebbe ufficializzare la sua candidatura fra lunedì e martedì. Al momento non è ancora stata presa però una decisione finale, fa sapere Politico.com citando fonti interne ai Repubblicani, e i funzionari del GOP (acronimo di Grand Old Party, così come sono definiti i Rep oltre oceano) si riuniranno martedì prossimo per un forum interno per decidere il da farsi. Per ora da Trump tutto tace ma l’ex presidente degli Stati Uniti, commentando il processo di rimozione di Kevin McCarthy, aveva accennato appunto al desiderio di assumere il suo incarico, come sottolineato da Rainews.com.
DONALD TRUMP PROSSIMO SPEAKER DELLA CAMERA? I POSSIBILI PROBLEMI
In ogni caso una candidatura non significherebbe una vittoria certa, visto che per essere eletto dovrà ottenere l’approvazione quasi unanime dei membri del GOP, cosa non semplice. Tra l’altro non va dimenticato che McCarthy è stato destituito solo per pochi voti e grazie anche all’apporto dei democratici, di conseguenza la strada per Trump appare tutta in salita.
Nel caso in cui alla fine il tycoon divenisse il nuovo speaker della Camera a quel punto si tratterebbe della prima volta in quel ruolo per un personaggio che non fa parte del congresso Usa, requisito comunque non specificato nella costituzione e nel regolamento della Camera. Diverso è però lo statuto repubblicano che impone che un membro del partito deve dimettersi “se è accusato di un crimine punibile con due o più anni di prigione”.