Inghilterra, i giudici possono decidere se una donna possa avere un figlio o no, con la solita clausola “del miglior interesse del paziente”, la stessa che ha deciso la morte di Charlie Gard, il bambino con una grave sindrome genetica. Il caso in questione vede protagonista una donna di origine nigeriana di 24 anni affetta da difficoltà di apprendimento definita “moderata”, cioè è leggermente ritardata. Sempre secondo le analisi mediche mostra comportamenti e funzioni di una bambina tra i 6 e i 9 anni. Durante un viaggio dai parenti residenti in Nigeria, è rimasta incinta, non si sa chi sia il padre, si pensa a qualcuno che si è approfittato del suo handicap. Tornata in Inghilterra, il suo caso è stato portato in tribunale dai medici che l’hanno in cura ed era stato sentenziato un aborto forzato, considerandola non in grado di allevare il bambino, ma senza tener conto che la donna vive ed è assistita dalla madre e altri parenti, senza contare la possibilità di dare in adozione il nascituro. La sentenza di aborto forzato è stata fortunatamente bocciata in appello, con la motivazione che erano stati ignorati i desideri della madre e dell’assistente sociale, andando contro i suoi diritti umani, ma è stato stabilito che non dovrà più rimanere incinta, applicandole un dispositivo contraccettivo mentre era in anestesia subito dopo il parto.
LA SENTENZA
Secondo l’avvocato che rappresenta il Sistema sanitario inglese, “rimanere ancora incinta non è nel miglior interesse della donna”. Si sono opposti la madre, che è anche una assistente sociale e l’avvocato che rappresenta la famiglia, dicendo che una tale interferenza nella sua autonomia non era giustificabile. Anche perché, ha spiegato l’avvocato, “ la possibilità che venga esposta in futuro a ulteriori attività sessuali è vicina allo zero”. E’ stato pensato un tipo di assistenza che preveda che non possa rimanere in casa da sola e alla presenza di uomini e anche di uscire di casa non accompagnata. Per quanto riguarda l’aborto forzato, il giudice che lo aveva sentenziato ha ribadito comunque il diritto della corte di imporre un aborto “se le circostanze lo meritano”.