Una donna residente in Polesine ormai da anni, ma di origine straniera, non potrà diventare cittadina italiana poiché i figli sono stati condannati per “gravi reati”. Dopo aver visto respinta la propria domanda di cittadinanza dal ministero dell’Interno, la donna si è rivolta al Tar del Lazio facendo ricorso ma anche questa seconda domanda è stata rigettata. A carico dei figli, infatti, sono emerse “svariate e reiterate condanne per gravi reati”, leggasi detenzione e vendita illecita di sostanze stupefacenti, guida in stato di ebbrezza ed estorsione.
Tali condanne, secondo i giudici, denotano “una situazione ‘critica’ nell’ambito del contesto familiare di riferimento” e dunque questo ha portato alla decisione di impedire il “definitivo inserimento” della donna nella comunità nazionale. Come spiega Il Gazzettino, la signora aveva presentato la prima richiesta nel 2015 e il Viminale l’ha bocciata dopo tre anni, nel 2018. A quel punto la signora ha fatto ricorso al Tar del Lazio ma anche questa seconda domanda è stata rigettata: la donna, dunque, non potrà diventare cittadina poiché su di lei pesano le colpe dei figli.
Donna non potrà ottenere la cittadinanza: “Non è integrata”
La difesa della donna ha sottolineato come lei non sia stata ritenuta “colpevole di alcun reato” per cui “non può essere considerata inaffidabile e non compiutamente integrata nella comunità nazionale per effetto dei pregiudizi penali dei suoi figli”. Nella sentenza, però, i giudici scrivono che “l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un’amplissima discrezionalità in campo all’amministrazione”. Dunque, per questo motivo la cittadinanza non può essere concessa.
I precedenti dei figli, condannati, dimostrano infatti che vi sia un “chiaro indice sintomatico di inaffidabilità e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale”. Il figlio maggiore, in particolare, nel 2009 ha ricevuto un decreto penale di condanna del Tribunale di Rovigo per guida in stato di ebbrezza mentre nel 2010 ha patteggiato per detenzione illecita di stupefacenti e per cessione di droga e poi nel 2012 è stato protagonista di una sentenza della Corte d’Appello di Venezia per detenzione di sostanze, ricettazione ed estorsione in concorso con il fratello. Nel 2016, poi, ancora guai per il reato di getto pericoloso di cose. Secondo il Tar, non importa che la madre non sia coinvolta nei traffici dei figli, poiché per via del vincolo affettivo potrebbe in qualche modo agevolarli.