C’erano una volta, in un paese chiamato America, i patti prematrimoniali: accordi sanciti tra fidanzati che miravano a mettere in chiaro alcuni punti saldi dell’imminente unione: la quantità settimanale di quality-time da spendere insieme, l’indice di massa grassa tollerato, quel minimo sindacale di rapporti al mese… Ma ad un certo punto, si scoprì che tali accordi non erano sufficienti a far funzionare la coppia. Nel frattempo, era nato un figlio. E si sa, in tali frangenti, le maglie dell’accordo pre-nuptial si allentano come gli elastici dei pantaloni pre-maman: con un cucciolo in più in casa, il tempo di qualità si riduce a uno stressante pomeriggio al parco-giochi e l’impennata di IMG non è che un doveroso effetto collaterale dell’allattamento. I rapporti? Stiamo freschi…
La donna, da brillante lavoratrice, si trasforma in mamma a tempo pieno, rinunciando così a una raggiante carriera. Risultato: un guadagno mancato, che – per una vita di lavoro negli USA – viene stimato attorno al milione di dollari. La moglie realizza che è economicamente svantaggiata rispetto al marito. Un serio problema in caso di divorzio: tanto più che al mancato introito andrebbe a sommarsi la difficoltà di rientrare nel mondo del lavoro… Questo prezzo, le donne americane stanno pensando di farlo pagare ai loro mariti, tirando in campo dei contratti post-matrimonio che le tutelino. Insomma, chi non si era già attrezzato coi patti prematrimoniali, fa ancora in tempo. Secondo il 36% degli avvocati americani, le mogli ne farebbero già richiesta. Ora: che la cura della prole gravi maggiormente sulla donna è un dato di fatto; e per questo è comprensibile che una madre si voglia tutelare. Ma, è davvero il chiamare in causa l’avvocato, la soluzione al problema?
Ho provato a mettermi nei panni di un uomo: arriva a casa tardi dal lavoro ed – essendo lei stata impegnata nell’onerosa cura del bebè – lo stakanovista trova giusto quattro salti-in-padella pronti da far resuscitare nel microonde. Del resto, la colpa è sua che fa tutti questi straordinari. Certo, gli extra-introiti sono per pagare due mesi l’anno di vacanze al mare, che fanno tanto bene al piccolo…ma tant’è. A questo punto della sua interminabile giornata, il punto è: con che impeto il marito si butta a lavorare sull’accantonamento TFR della moglie mantenuta?
L’altra figura chiave in gioco è l’avvocato. La pericolosissima idea sottostante ai patti post-matrimonio è che in qualunque momento di difficoltà, i coniugi possono aggrapparsi a un ramo del diritto per tirare avanti. Come bradipi. Traslochiamo? Bene, andiamo dall’avvocato e firmiamo un accordo sui metri quadri destinati al mio spazio nella cabina armadio. Io voglio fare le ferie al mare e lui in montagna? Già mi vedo, con la mont-blanc in una mano e il tiralatte nell’altra, a firmare un rigido protocollo sull’alternanza: d’ora in avanti, guai a chi mi tocca Camogli negli anni pari! In pratica, gli sposi stanno dicendo addio ad amici, consulenti coniugali e padri spirituali. Ora c’è il Diritto, medicina preventiva per qualunque malanno che possa colpire la coppia. Già mi vedo lo spot in TV: Soffrite di stanchezza coniugale? Mal di cuore? Niente paura, basta un po’ di vitamina D.
Altro discorso merita la spada di Damocle che incombe su ogni unione: il divorzio. Nell’ottica dei patti, la separazione non è più considerata una pericolosa minaccia, ma un evento piuttosto probabile, e pertanto da pianificare con tanto di bilancio alla mano. In tutto questo, l’ipotesi positiva di matrimonio va a farsi benedire, smarrita nella colonna degli attivi e dei passivi. Ora: con o senza accordi, a tutto si può trovare un’intesa negoziale; ma se si perde la prospettiva del rapporto, esso diventa instabile, molto più di un impacciato bebè che muove i primi passi da solo.
Dove finisce il gusto per la famiglia, se si stanno a fare i conti dare-avere, e magari a un certo punto ci si accorge che ciò che si perde è più di quello che si guadagna? Sì, perché i figli non sono cespiti che si possono vendere. Almeno per ora; di questo passo, non so per quanto.
I figli, appunto. Quando si dice: dare, regalare, sacrificare la propria vita per un figlio…
Davanti al dio denaro, diventa difficile anche offrire il sogno della propria carriera.