Secondo un recente studio effettuato dai ricercatori del dipartimento di psichiatria dell’LWL University Hospital di Bochum, in Germania, i problemi di comunicazione tra uomini e donne hanno un’origine “fisiologica”. Gli uomini ci mettono più tempo a decifrare le espressioni facciali delle donne, rispetto a quelle degli uomini, e nei due casi vengono attivate aree diverse del cervello: insomma, l’area dell’empatia, l’amigdala, si accende più velocemente quando un uomo si trova davanti a un altro uomo. 



Non è questa una notizia che può cambiare la prospettiva sulle relazioni di coppia? Che può insegnarci qualcosa? Lo abbiamo chiesto al dott. Alessandro Pedrazzi, psicologo-psicoterapeuta, che può fornirci un parere scientifico su un argomento così delicato e sempre attualissimo. 

Ormai lo certifica lo studio tedesco: uomini e donne non si capiscono. Dobbiamo abbandonare ogni speranza di comunicare?



Lo studio in questione ha avuto una prevedibile eco mediatica, poiché le differenze uomo-donna risultano sempre un simpatico argomento di conversazione, tuttavia la ricerca dice qualcosa di molto più specifico. Boris Schiffer e collaboratori hanno studiato in 22 soggetti maschi il riconoscimento delle emozioni espresse unicamente dagli occhi: hanno scoperto che i 22 maschi, testati anche con la risonanza magnetica funzionale,  hanno più facilità a riconoscere le emozioni espresse dagli occhi maschili, probabilmente perché sollecitano memorie di eventi già vissuti e facilmente riconoscibili: quindi ci si immedesimerebbe con più facilità in un soggetto dello stesso genere sessuale. La ricerca non implica che la stessa cosa non sia vera anche per le femmine, infatti non sono state testati soggetti femminili! 



Interessante…

Al di là dei correlati cerebrali attivati dalla visione degli occhi di maschi e femmine tali differenze sembra  abbiano avuto una loro utilità evolutiva: i maschi curavano la difesa del territorio, quindi il riconoscimento dell’avversario e delle sue emozioni avevano una basilare utilità. La possibilità che la femmina abbia più capacità nel riconoscimento delle emozioni di entrambi i sessi potrebbe anche dipendere dal fatto che la prole da curare è di entrambi i sessi e quindi la donna, evolutivamente, si è abituata ad empatizzare con entrambi i sessi.

In ogni caso, a prescindere da queste differenze, o meglio, proprio in virtù di queste differenze, la buona comunicazione fra uomini e donne non è fenomeno virtualmente impossibile. Credo piuttosto che sia migliorabile alla luce delle nuove scoperte. E poi, dopotutto, siamo riusciti ad evolverci egregiamente anche tramite queste differenze!

Non pensa che informazioni di questo tipo dovrebbero essere più diffuse, nell’ottica di una “educazione alla comunicazione”?

Certamente la diffusione d’informazioni è un elemento di vantaggio comune, tuttavia è bene notare che in effetti le informazioni disponibili nella nostra società sono già molte e che la comunicazione come strumento è sovente iperutilizzato. Quando le informazioni sono eccessive e non sono mediate dalla riflessione, creano un accumulo da cui deriva confusione. Anche Umberto Eco ha fatto notare come la vera conoscenza non risieda nell’accumulo di nozioni ma nel sapere quale fonte consultare al bisogno.

Quindi, per rispondere alla sua domanda, direi che l’educazione alla comunicazione dovrebbe perlopiù precedere l’acquisizione d’informazioni.

E’ possibile per una coppia restare unita, se manca una buona comunicazione?

L’ovvia risposta è no, ed è innegabile che uno dei primi sintomi di una coppia “scoppiata” è la mancanza di comunicazione, o l’impoverimento di essa. Quando fra i partner la comunicazione si logora è immediata la sensazione che qualcosa non vada più per il meglio. Di conseguenza viene da pensare che la comunicazione significhi letteralmente un rapporto di coppia migliore: più comunicazione, uguale più connessione, più intimità e quindi più amore.

Ma cosa significa comunicare “bene”?

Direi in primo luogo che comunicare efficacemente non significa comunicare ogni cosa.

Dialogare ad oltranza in genere porta allo sfiancamento e non apre all’accettazione delle posizioni altrui ma piuttosto, anche se pare illogico, porta all’irrigidimento sulle proprie posizioni. Una comunicazione davvero buona,  presuppone la capacità di gestire il conflitto che la comunicazione stessa può generare: se s’impara a comunicare, allora è possibile mirare ad un rapporto di coppia ottimale, quello di cui tutti parlano ma che non tutti vivono.

Cosa si può fare per comunicare meglio?

Per quanto comunicare sia un atto naturale questo non implica che, nella pratica, comunicare sia semplice. Per molte persone, comunicare è un processo irto di ostacoli, di stress e di un nascosto senso d’inadeguatezza.

La comunicazione libera, aperta e sincera è, per la coppia, sicuramente una bella cosa ma non va dimenticato che implica, oltre all’amore, l’espressione di bisogni e risentimenti. Quindi, gli attriti e gli scontri che possono essere generati da una buona comunicazione divengono un fattore positivo, generativo ed evolutivo per la coppia, solo se le due persone sono attrezzate e pronte ad affrontarli. 

Attrezzati…cioè?

Attrezzati vuol dire avere una grande confidenza con il partner ed un impegno attivo nella coppia, vuole dire che il partner non viene percepito “contro di noi” ma “con noi”. Comunicare bene con il partner implica anche la capacità di negoziare fra i propri bisogni e quelli dell’altra persona, con la consapevolezza che le finalità del partner mirano comunque al nostro benessere. Solo se il rapporto si giova di questa percezione di sicurezza, allora potremmo puntare a quella buona comunicazione di coppia senza sentire minacciata la nostra integrità o temere di essere lasciati, ad esempio.

 

Se dovesse scegliere 3 elementi fondamentali per la stabilità di coppia quali sarebbero?

In primo luogo, ma non per importanza, segnalerei l’intimità, intendendo con essa sia la dimensione della sessualità sia quella della complicità con l’altro, con il quale si condividono dimensioni di fisicità, idee e situazioni non condivise e/o incondivisibili con gli altri. 

Quindi indicherei la cura dell’altro, che significa l’interesse verso il partner al fine che questo stia bene, poiché il suo benessere è connesso al nostro. Ciò anche nella misura di una più ampia attitudine positiva verso l’altro, senza che vi sia un ritorno personale pratico.

In terzo luogo suggerisco la tolleranza che si esplica nella sfera della comprensione e del ragionamento, mentre i due precedenti punti hanno maggiormente a che fare con l’instintività. Tollerare vuol dire approcciare l’altro con la volontà di capirne anche i limiti e non solo i pregi. Tollerare vuol dire, in una certa misura e nei limiti del rispetto, anche sopportare l’altro. Accompagnarsi ad un’altra persona significa accettare alcuni compromessi ed alcune cessioni rispetto ai propri spazi (che sono anche mentali); rinunce che dovrebbero avvenire con serenità. 

 

La teoria sembra semplice, ma sappiamo che la pratica non lo è altrettanto…

In definitiva, due persone in congiunzione sono come due pianeti che devono trovare un loro equilibrio gravitazionale, avvicinandosi, condividendo alcuni spazi, ma sapendo gestire ed apprezzare le necessarie distanze. In caso contrario i due soggetti o si disgiungeranno perdendosi nel vuoto alla ricerca di altri equilibri planetari, oppure cadranno l’uno verso l’altro, distruggendosi vicendevolmente. 

 

(Nicoletta Fusé)