È di questi giorni la notizia di una ventenne nel Casertano, Rosaria Aprea, aggredita dal compagno in uno dei vari episodi di violenza che hanno segnato la loro storia, e per questo motivo trasportata in ospedale e operata d’urgenza per l’asportazione della milza. Mentre si aspetta la testimonianza della vittima, il fidanzato, Antonio Caliendo, 27 anni, è stato interrogato dalle forze dell’ordine e accusato di maltrattamenti e tentato omicidio. Una storia purtroppo molto comune, e che, a differenza di quanto è accaduto in casi analoghi, non ha causato la morte della ragazza. Abbiamo chiesto all’avvocato Laura Cossar quali sono le implicazioni di queste situazioni in cui giustizia, psicologia e problemi sociali sono strettamente legati fra di loro. 



Al momento Antonio Caliendo è accusato di tentato omicidio e maltrattamenti. Quali possono essere le conseguenze a livello legale, anche nell’ipotesi in cui Rosaria, la vittima, decidesse di non sporgere denuncia?
Vista l’imputazione, non c’è bisogno di denuncia perché il reato di maltrattamenti è procedibile d’ufficio, perciò si procede senza denuncia da parte della vittima, così come per il tentato omicidio. Bisognerà poi verificare se il maltrattamento c’è stato: per parlare di maltrattamenti in famiglia bisogna infatti che si siano già due episodi noti, ossia che sussista la ripetitività del reato, cosa che viene verificata durante il procedimento. 

Quindi sarà fondamentale la testimonianza della ragazza?
Esatto, in questo caso ci si baserà sulle dichiarazioni della parte lesa, che è l’unica testimone dei fatti, salvo che non se ne palesino altri. E se fossero confermati i reati le conseguenze per questo ragazzo sarebbero molto gravi.

Può darci un’idea di quali sarebbero queste conseguenze? 
Una condanna a molti anni di detenzione. Sul numero degli anni non ci si può pronunciare già da ora, perché dipendono da molti fattori: si dovrà capire se il soggetto è un pregiudicato, se ha precedenti, se ci sono circostanze che potrebbero mitigare la colpa e ridurre la pena. Poi si deve vedere anche se verrà avvito un procedimento giudiziario normale o se questo signore chiederà il rito abbreviato o il patteggiamento, che comportano sconti di pena.

Quindi nel caso in cui Caliendo si assumesse la responsabilità del reato la pena potrebbe essere più breve?
Esattamente. 

La madre della ragazza ha cercato più volte di convincere la figlia a lasciare il fidanzato, ma senza risultato. Nella sua esperienza di avvocato succede spesso?
A questo proposito vorrei dire due cose: innanzitutto, in questo tipo di relazioni c’è qualcosa di malsano, questi rapporti io li chiamo “amori malati”. C’è una sorta di dipendenza l’uno dall’altro, e nonostante le violenze si vede che la vittima resta in rapporto con il proprio compagno. C’è spesso un rapporto di sudditanza, come succede in certe coppie sposate in cui la moglie è dipendente, a livello psicologico ma anche economico, dal marito. Secondariamente – ed è cosa molto grave – succede che queste storie balzano alla ribalta della cronaca dopo che le vittime avevano già segnalato, facendo esposti o denunce, la pericolosità del soggetto, e qui mi viene da dire che il problema fondamentale è la prevenzione piuttosto che un inasprimento delle pene.

Cosa intende per prevenzione? 
Che bisogna riconoscere il problema alla fonte: il primo che riceve le confidenze di una vittima – che sia un poliziotto, un assistente sociale, un medico di base – difficilmente si espone, o non riconosce la problematica e tende a sminuirla. Io ho avuto clienti che si sono rivolte ai carabinieri – senza voler “sparare” sui carabinieri che quasi sempre fanno benissimo il loro lavor o- e tante volte sono state invitate a tornare a casa, come fosse un episodio che tutto sommato può essere risolto facilmente. Se non si riconosce la gravità della situazione difficilmente si può fare qualcosa.

A questo proposito volevo chiederle se, in alcuni casi, da parte della vittima ci sia, oltre ai motivi sentimentali, una sfiducia nei confronti della giustizia…
Esatto, dopo la denuncia trascorre il tempo necessario tecnicamente per avviare le indagini, e in questo lasso di tempo può succedere che l’interessato venga a sapere della denuncia. In questo caso, spesso chi ha sporto la denuncia decide di non procedere, per timore di una vendetta. Mi sono capitate clienti che hanno sporto e ritirato la denuncia nel timore di ripercussioni ancora peggiori: spesso le donne si sentono, sole, isolate e nessuno le ascolta. 

Che alternative potrebbero esserci per queste donne?

Bisogna dire che purtroppo le risorse dedicate al sociale sono poche e se i Comuni non hanno la possibilità di avere assistenti sociali o organizzazioni apposite è difficile fare qualcosa. Credo che il problema fondamentale sia preparare le forze dell’ordine e i medici che accolgono le persone al pronto soccorso a dare subito un seguito alla testimonianza delle vittime, a dare un sostegno immediato a queste donne perché altrimenti una volta uscite dalla caserma o dal pronto soccorso devono tornare a casa, che per loro è il luogo della violenza.

Molto spesso le donne che restano con i compagni violenti vengono criticate duramente, non ci si spiega perché “non se ne vanno”…
Ci sono diversi vincoli per cui, se non si sa dove andare, è difficile mollare tutto, mollare il certo per l’incerto. E poi spesso le vittime vivono una sorta di vittimismo, a volte alimentato purtroppo dalle stesse persone cui chiedono aiuto, magari le stesse forze dell’ordine che chiedono: “Ma lei cosa gli ha detto? Cosa ha fatto? L’ha fatto arrabbiare?”. La donna può anche averlo provocato ma questo non giustifica mai una reazione così eccessiva da arrivare alla violenza, sia fisica che psicologica.

Dopo l’entrata in vigore della legge sullo stalking è cambiato qualcosa?
Qualcosa è cambiato, quanto meno è stato introdotto il reato, mentre prima era difficile trovare non solo il coraggio, ma anche il modo di denunciare, di ricondurre le colpe a una fattispecie di reato. L’introduzione della norma sullo stalking, la 612 bis, è stata un passo avanti ma se quando si arriva a denunciare la condotta non si comprende che si tratta di stalking, serve poco. Il problema è proprio quello di un ascolto attento nei confronti della vittima.