La sentenza della della Corte d’Appello ha ribaltato la situazione del bambino che a Cittadella venne prelevato da scuola per essere affidato al padre, e immortalato in un video purtroppo famoso. Se dopo questo episodio la Cassazione aveva stabilito che il piccolo venisse affidato di nuovo alla madre, la parola definitiva spettava alla Corte d’appello, che, sebbene non impedisca alla madre di vedere il bambino, ha in questi giorni deciso di affidarlo principalmente alle cure del padre. Una vicenda giudiziaria complessa nella quale si sono più volte ribaltate le sorti di una famiglia e soprattutto quella del minore al centro della disputa. Abbiamo chiesto a Franco Occhiogrosso, ex presidente del Tribunale dei Minori di Bari, di spiegarci quali dinamiche entrano in gioco in casi come questo.
Come si è arrivati a questo punto in cui le sentenze nel caso di Cittadella, hanno più di una volta ribaltato la situazione?
La Cassazione non è un giudice “del merito”, cioè è un giudice che valuta i principi e stabilisce regole di massima che sta alla Corte d’Appello di valutare nella praticabilità concreta. Quindi se la Corte d’Appello ha valutato di modificare la prospettiva della Cassazione probabilmente ha verificato l’impraticabilità o il rischio alto di un affidamento alla madre.
Dopo la sentenza della Corte d’appello, sarebbe possibile per i genitori accordarsi tra di loro e fare richiesta di affidamento congiunto, ad esempio?
Sì, tutto è possibile, si tratta di capire se queste persone siano in conflitto al punto da dover far intervenire la polizia, in modo inaccettabile come è accaduto nel famoso video, oppure trovino una strada diversa, cosa che sarebbe auspicabile, nel caso sussistano le condizioni nel rapporto tra i genitori.
In questo tipo di casi come viene tenuto in considerazione il diritto alla salute psicofisica del bambino?
Certamente questo diritto viene tenuto in considerazione, perchè l’accordo delle parti, cioè dei genitori, ammesso che si arrivi ad un accordo, è una proposta che deve essere “omologata” dal giudice della Corte d’Appello e poi reso esecutivo dalla Corte.
Cosa intende per “omlogata” in questo contesto?
Per “omologata” intendo che viene dato una specie di visto, con il quale il tribunale sancisce che la sentenza non lede i diritti del bambino ed è applicabile. Ossia la supervisione dell’affidamento del minore può essere concordata ma sempre verificata dal giudice nella sua idoneità rispetto alle esigenze del bambino. Se il giudice ravvisa che l’eventuale accordo risponda all’interesse del bambino allora procede con “l’omologazione”, la sentenza diventa esecutiva e comincia a decorrere.
Non è richiesta espressamente la volontà al bambino quindi?
La volontà del bambino viene conosciuta sulla base di quello che lui ha detto nel corso del procedimento. Può essere che lui si adatti all’affidamento all’uno piuttosto che all’altro genitore, ma bisogna vedere, malgrado ad esempio lui voglia andare con la madre, se questo sia un bene e non costituisca invece una barriera che impedisce al bambino una qualunque socializzazione col padre.
Situazioni come questa vengono rivalutate nel tempo o, una volta emessa la sentenza, per la legge è un caso chiuso?
A meno che non sia deciso dalla Corte d’Appello, che rinvia il caso ad esempio a 6-12 mesi, in linea di massima la sentenza è definitiva.Poi esiste sempre il diritto di uno o entrambi i genitori di riproporre la questione e chiedere una modifica della decisione.
Quindi poi i genitori possono fare ulteriori richieste…
I genitori possono fare una nuova richiesta e sottoporre la vicenda ad un nuovo esame da parte del giudice, senza considerare che però rischia di diventare una questione infinita mentre a un certo punto sarebbe meglio porre un fermo, uno stop, e cominciare a camminare su un percorso comune nell’interesse e per la serenità del bambino.
(Nicoletta Fusé)