Nuova rapina nel centro di Milano. Anzi, nel centro della Milano “bene”, nel cuore pulsante del quadrilatero della moda, dove questa mattina, intorno alle 11.30, un gruppo di sei uomini armati di picconi e mazze da baseball ha svaligiato un negozio di orologi di lusso, coprendosi la fuga con il lancio di molotov e ferendo due persone. Gli anni dei banditi gentiluomini, quelli alla Luciano Lutring, per intenderci, che nascondeva il “ferro” nella custodia del violino e regalava mazzi di rose alle impiegate delle banche che ripuliva sono ormai passati e, con la morte del Solista del Mitra, si è davvero chiusa un’epoca. Pistole e fiori sono stati sostituiti dalle spranghe e dalle bottiglie-bomba, e dell’integrità dei vecchi Robin Hood anni ’70 è rimasto ben poco. Come ci ha raccontato una donna che ha conosciuto da vicino la malavita che oltre trent’anni fa aveva in mano la città meneghina e che, pur nel male, mantiene ancora intatto tutto il suo fascino quasi poetico. Antonella D’Agostino ha sposato l’archetipo del malavitoso di un tempo, bello e dannato: Renato Vallanzasca, e ci racconta com’è cambiato lo scenario della metropoli milanese e della sua “mala”.
Sembra che molto sia cambiato dalla Milano criminale degli anni ’70.
A volte penso sia davvero cambiato tutto. Anche a livello di criminalità: la “mala” non c’è più. Una volta i malavitosi erano conosciuti in ogni quartiere, adesso nessuno sa nemmeno che faccia ha il proprio vicino di casa. Potenzialmente chiunque può essere delinquente senza che tu lo sappia.
Non c’è più la malavita di una volta, verrebbe da dire!
Tutto è cambiato, te lo ripeto! Una volta la malavita era, nonostante tutto, fatta anche di un profondo senso di dignità, aveva dei valori e non era raro che anche un malavitoso decidesse di aiutare le famiglie del suo quartiere che vedeva in difficoltà: tutti sapevano chi aveva fame e doveva essere aiutato. Adesso i crimini vengono commessi da bande lanciate allo sbaraglio o da gente disperata che ruba perché non ha da mangiare.
Chi sono i primi a fare le spese di tutti questi cambiamenti?
Chiaramente le donne, perché sono indifese: se una volta una ragazza poteva uscire senza problemi la sera, adesso io ho paura persino a scendere le scale per buttare la pattumiera dopo le nove di sera. Penso che la vita sia cambiata su tutti i fronti: i ritmi adesso sono spasmodici, forsennati, e le prime a subire sono le donne che cercano sempre di riaggiustare le cose: sono mamme!
E il ruolo della donna all’interno della malavita come si evoluto nel tempo?
Non credo esista più una malavita al femminile, come succedeva ai tempi, quando c’erano ragazze con la pistola, amiche dei miei amici di allora, che li aiutavano nelle rapine. Le uniche donne rimaste in questo contesto sono le mogli dei mafiosi che – è un segnale positivo – stanno iniziando a dissociarsi dall’operato dei consorti, come ha dimostrato il recente e triste caso di Lea Garofalo. Non si tappano più gli occhi davanti ala male e hanno smesso di fiancheggiare i mariti mafiosi, perché si riconoscono innanzitutto come madri, questo è il loro compito. E il crimine non può essere accettato da una madre.
Sei moglie di un “bandito” del calibro di Vallanzasca, eri amica di Francis Turatello, e hai quindi visto molto da vicino la “mala” degli anni di Piombo. Cosa ne pensi del dilagare, negli ultimi anni, di una violenza efferata cui non eravamo abituati?
Siamo stati investiti in pieno da un’onda di violenza fino ad ora inedita, che ha colpito innanzitutto e soprattutto le donne. Ogni due giorni una donna viene ammazzata e la magistratura davanti a tutto questo sta immobile e nemmeno gli investigatori servono a molto: dove sono i colpevoli?
Già dei colpevoli nemmeno l’ombra!
Prendiamo come esempio il delitto di Garlasco: l’omicida di Chiara Poggi è ancora in libertà e questo perché? Perché le modalità di indagine sono cambiate rispetto a un tempo. Adesso, pur con tutte quelle tecniche iperspecializzate, tipo RIS, non trovano mai l’assassino a meno che abbia in mano una pistola fumante! Una volta li beccavano tutti!