Lo ammetto, per un momento mi sono fermata; stavo cucinando, la radio accesa, la padella sfrigolante. Le parole della giornalista mi hanno lasciato di sasso. Certo, la storia la avevo già sentita, quella vicenda penosissima di cronaca nera, in cui una ragazzina quindicenne viene uccisa a coltellate e poi bruciata dal fidanzatino, anche lui minorenne, per gelosia pare. La descrizione del delitto è insistita, l’esito dell’autopsia conferma che la ragazza ha sofferto, è stata data viva alle fiamme. Ma io mi lascio colare addosso i particolari crudeli. E’ quando si aggiunge la chiusa che resto di sasso: “La madre della ragazza” riferisce l’Arcivescovo Santo Marcianò, che la ha visitata stamattina, ha detto: “Sì, in effetti, anche lui è una vittima.” Chi sei, donna, per dire questo? Riferiscono: a occhi bassi, in un sussurro. Cinque parole da brivido. “Anche lui è una vittima”.
Lui, quel ragazzo, che in paese lo sapevano che aveva le mani lunghe e pesanti, che avevi pregato tanto (anche lei, la tua Fabiana) di lasciarla in pace. Che avevi tirato un sospiro, quando tua figlia ti aveva detto che era finita, proprio ti sembrava di stare meglio. Vorrei conoscerti, vedere il tuo volto. Ho cercato in rete anche solo il tuo nome di battesimo, non lo ho trovato. Scrivono solo “la madre della ragazza” e aggiungono “l’assassino è una vittima”. Ma la tua vera parola è “lui”: tu non hai detto l’assassino, lui è quel ragazzino della prima cotta di tua figlia, delle preoccupazioni, delle raccomandazioni.
E’ quello su cui si posava il tuo sguardo e a cui il tuo cuore sussurrava “trattamela bene”, come ogni madre che vede sua figlia allontanarsi truccata e vestita col cuore in folle. Il ragazzo per te ha un nome ben preciso; sarebbe così facile ricoprirlo di odio. Ma tu, che resti per me, per noi, ancora senza un nome, sei una madre. Davvero. Una madre vera, che non riesce a farsi sopraffare dall’odio, anche se magari vorrebbe, sarebbe comodo avere un bersaglio dove buttare rabbia e dolore. Ma tu non riesci a odiare, sei una madre.
Cristiana. Non lo hai detto a un giornalista che ti piazzava il microfono in bocca e una telecamera in faccia; ma, a occhi bassi, davanti a un Vescovo (è lui il portatore dell’imposizione delle mani di Cristo sul capo di Pietro). Arrivi a dire che lui sia una vittima, non solo lei. Certo anche tu, tuo marito, tutti noi qui.
La parola “vittima” non significa che lo stai perdonando, come vorrebbero insinuare i cronisti di certi articoli.



Prima del perdono c’è tutto il calice amaro da bere, è una storia privata e potente, un duello tra l’anima e Dio; c’è un privatissimo calvario e una croce personale dall’alto della quale una donna (un uomo) perdonano: sotto lo sguardo misericordioso di Dio. Ma non è neanche un sottinteso “lo capisco”, no, meno che mai! L’assassinio di una figlia non si capisce, mai. Nè si comprende. Le tue parole servono a dire: “nel mio cuore non c’è odio”.
Così, me le sono sentire scendere dentro. E mi sono salite le lacrime, ho sentito il mio cuore battere con il tuo, una madre. Ho sentito la marea del tuo dolore che premeva, la tua disperazione. Il senso di profondo fallimento, la paura della disperazione, la rassegnazione.
Ma anche la carità.
Solo dove c’è carità c’è amore.
Non le hai dette da sola. Una madre ha un altra Madre accanto a sé. Che non vuole mai la morte, ma la vita.
Pregherò ti sia sempre accanto, quella Santa Madre ti custodisca il cuore sano, tenga tua figlia nel suo manto dentro l’eternità della Sua Giustizia e Verità.
Grazie per le tue parole.

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