La notizia che non ti aspetti e che colpisce come un macigno in testa: il libro “Il cuore, se potesse pensare”, era uscito nelle librerie lo scorso marzo, ma era tutto sommato passato sotto silenzio. Come in pochi avevano fatto caso al sottotitolo “Una storia d’amore, ricerca e battaglie”, che pareva perfettamente azzeccato per la storia di una ragazzina ebrea durante la seconda guerra mondiale. Soltanto che qualcuno, in questi mesi, quel libro deve averlo letto, trovandoci dentro qualcosa di mediaticamente – e non solo – più interessante rispetto alla ferita dell’Olocausto e delle deportazioni nei lager, piaga ancora non del tutto sanata, ma della quale si è parlato e si parla ancora a sufficienza. Quello che invece salta all’occhio dalle pagine del volume dato alle stampe da Sultana Razon – nome che ai più potrebbe non dire nulla – è il dolore di una donna e di una moglie cui il marito non ha fatto fare una vita semplice. Un marito famoso, nientemeno che Umberto Veronesi, direttore scientifico dell’Istituto Europeo di Oncologia, premiato con la bellezza di tredici lauree honoris causa, e con un’infinità di riconoscimenti nazionali e internazionali, dal quale Suzy ha avuto sei figli. Una vita apparentemente perfetta, la loro, entrambi medici più che brillanti, ma che, sotto gli splendori della fama e dell’agnosticismo di Veronesi, nascondeva il tarlo della menzogna. Già, perché come la Razon racconta nel suo memoir, che a tratti assume quasi le tinte dello sfogo di chi non riesce più a tenere per sé una verità lacerante, Veronesi la tradiva da anni. Sì, proprio quell’irreprensibile medico tutto d’un pezzo, sempre osannato come massima autorità nel campo della cura ai tumori. Quello stesso uomo che a più riprese rifiutava qualsiasi tipo di etica religiosa a favore di quella laica, la sola che – affermò in un’intervista nel 2009 –  “ti dice che devi comportarti bene per il rispetto degli altri e non perché così vuole Dio”, ma che, evidentemente, non deve dire molto in materia di fedeltà. “Umberto mi disse improvvisamente: ‘Susanna, ti devo fare una confessione’.”, scrive infatti la donna ne “Il cuore, se potesse pensare”. E continua: “Guardando fisso la strada con le mani sul volante mi confessò: ‘Ho un altro figlio di quattro anni’”. Le ultime parole che qualsiasi donna avrebbe voluto sentire nella sua vita, tanto più se, dopo la “confessione”, il marito non ha in ogni caso intenzione di troncare i rapporti con la sua amante, nonostante non faccia che ripetere di essere “rammaricato di aver procurato tanto dolore” e nonostante giuri che Sultana è “l’unica donna che avesse mai amato”. Il racconto prosegue poi riportando un altro avvenimento, per certi versi ancora più drammatico dell’evidenza dell’adulterio: “Trascorsero i mesi”, dice l’autrice, “e un pomeriggio prima di Natale chiesi ad Umberto di accompagnarmi a cercare i regali per i nostri figli. Mi rispose che era impossibilitato, aveva molto da lavorare in ospedale. Mi avvia da sola in giro per i negozi. A un tratto in piazza San Babila lo vidi ridente sotto braccio alla sua compagna, che andavano assieme a far compere per il loro bambino…mi sentii raggelare e mi vennero le lacrime agli occhi. In tanti anni di matrimonio non aveva mai voluto accompagnarmi a fare acquisti. Era un atteggiamento ‘piccolo borghese’, come affermava spesso”. Ecco la seconda faccia di Veronesi che la sua donna, pur con tutto l’affetto che dice di provare nei suoi confronti, ha svelato al mondo e che, pur non intaccando in nessuna misura il suo operato in ambito medico, getta un’ombra sinistra sulla sua figura. Perché errare è umano, ma perseverare – con il sorriso sulle labbra e l’amante sotto braccio – non parrebbe.  



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