Calendario delle studentesse, settima edizione. Tema dell’anno, la violenza contro le donne. Distribuzione gratuita nelle principali città, campagna lancio con l’hashtag #ilcoraggioèdonna. Operazione benemerita, senza scopo apparente di lucro, finalità educative, aderenza alla drammatica attualità. Ideazione della Arakne Communication, dove l’aracne, il ragno, è una gigantesca tarantola velenosa.
Il messaggio è questo: rispondere al veleno con il veleno, alla violenza con la violenza. Occhio per occhio. Infatti, scorriamo le immagini, crude, dark. Gennaio, una ragazza stile Morticia “rompe il silenzio”, ovvero strappa una rete che le copre il viso, rete metallica legata a un collare di chiodi appuntiti, da usare come arma contundente. Febbraio: lei è cresciuta nella famiglia Addams, lo sguardo fisso e i boccoli nerissimi come vipere sul viso, mentre impugna due coltelli, pronta al lancio. Idea radicale di autodifesa. Marzo, è primavera: lei ha un occhio pesto, una benda rossa al polso: l’hanno menata o è un look studiato e alla moda? Tiene in mano un cartello che invita alla lotta, facendo il verso a una celebre canzone di Tina Turner. Aprile, dolce dormire: infatti lei dorme, ricanta l’eterno mito di Ofelia (che non è stata uccisa, però), mollemente adagiata su un letto di fiori: “non voglio morire” è il suo motto ed è forse la sola foto non agghiacciante.
Maggio: due panterone coi cerotti sui capezzoli, tratto di cui ignoro il simbolismo, si slegano dalle corde che le avvinghiano, e pregustano dagli sguardi languidi il loro libero amore. Giugno, onore alle Pussy Riot, con una loro citazione: “Stiamo già vincendo perché abbiamo imparato ad essere arrabbiate”. Stavolta non ci sono morti in campo, perché le tre combattenti sono armate di bombolette spray colorate, la foto sembra invenzione dell’Oliviero Toscani di United Colors. Luglio, lui è appeso alla tappezzeria da temibili e leziose scarpine col tacco a spillo, mentre lei si colora le labbra col rossetto infuocato, ammirandosi allo specchio. Bella, come la regina cattiva di Biancaneve. L’uomo finalmente è un oggetto, da usare se va bene, e ridurre a soprammobile.
Agosto: un tocco di multiculturalismo: qualcuno si ricorda che la violenza sulle donne non è solo di casa nostra, e in primo piano ci sono due splendidi occhi coperti da un nero niqab, lacerato da un grosso paio di forbici. Si va a colpire nel segno: “la libertà non ha religioni”, è lo slogan. Come a dire, le religioni sono tutte uguali, tagliamole via e zac, saremo senz’altro più libere. Settembre: tre Grazie si abbracciano, i corpi nudi coperti di scritte con belle parole: ribellione, sostegno, dignità, rinascita, denuncia, quelle cattive sono scritte in rosso e cancellate da una riga decisa: femminicidio, abuso, eccetera. Come non essere d’accordo? Però pare che l’estasi che unisce in un viluppo di carni le tre protagoniste parli di un solo, possibile amore puro e sicuro, quello lesbico.
Ottobre: “nessuna pietà”, con evidente riferimento blasfemo, perché il cadavere è sì di un uomo, ma la lei che lo sostiene lo prende per il collo, e non è affatto una Madonna, ma un’Erinni che ha ottenuto la sua vendetta, uccidendo il maschio. Novembre è il mese dei morti, e infatti siamo in ambiente Twilight: due manichini infiocchettati, inquietanti, con una donna vera che guarda torva, in nero lutto. Infine dicembre, un tocco di grazia, dove il richiamo al sangue si fa più remoto, e si confonda con il colore della festa, della passione, del capodanno: “La paura ti rende prigioniera, la speranza può renderti libera”. Due ballerine volteggiano elegantemente legate da drappi infuocati. Sempre due donne sono, però, con gli uomini proprio la speranza non c’è.
Care studentesse, e meno caro chi vi ha usato, un anno così è da incubo. Perché è verissimo, la violenza è un’infamia, e va combattuta senza se e senza ma. La violenza contro le donne è anche più vile, perché le donne sono più deboli fisicamente, che piaccia o no ammetterlo. Non serve trasformarle tutte in virago, non è reale. E poi, vogliamo davvero questo? Vogliamo per noi il peggior machismo maschile, per difenderci? Vogliamo cambiare identità, per meglio proteggerci? O non fare appello all’intelligenza, alla comune umanità, al rispetto di ogni diversità, alle leggi? E crediamo davvero che solo un amore omosessuale sia il più adeguato per essere rispettate e sicure? Che ce la possiamo e vogliamo fare da sole? Davvero osiamo paragonare la nostra condizione con quella di milioni di donne velate da coltri scure, segregate, oppresse per volontà di Stato, punite con la lapidazione e con l’acido in volto?
Anche da noi la cronaca ha riportato casi atroci. Uno solo sarebbe intollerabile. Ma è solo l’educazione a vincere, sempre, mai la vendetta. Capisco tutta la rabbia e lo sdegno, perfino la reazione brutale alla brutalità. Se questa è la strada, rassegnamoci a fare dei calendari, non cambieremo nulla. Oppure, si può cominciare a parlare, già ai bambini e bambine più piccole, che lo sdegno si esercita vedendo le donne lasciarsi usare stupidamente sui giornali, nella moda, nella televisione. Lasciarsi offendere dai compagni di classe, dalle scritte sui muri, da amoretti fugaci e rapinosi. Si può spiegare che vendersi non è mai una scelta di libertà. Che essere protagonisti non significa avere potere. Io per un calendario ideale avrei scelto dodici donne speciali, una al mese, in cui riconoscermi, davanti ai cui volti abbassare lo sguardo, ammirati. Simone Weil, Hetty Hillesum, Edith Stein, Madre Teresa, Emily Dickinson, Marie Curie, Rosa Parks, Coretta King, Malala, Asia Bibi…