Può trasformarsi in una tragedia non poter sorridere a 11 anni, ancora di più se ciò che lo impedisce è una rara malattia congenita alla mascella, come nel caso di Stephanie Grant.
Il fatto è stato riportato da alcuni quotidiani e, una volta ogni tanto, anche il bene ha fatto notizia. Intervistata dal Maily Daily, Stephanie ha narrato la sua storia, la storia di una ragazzina londinese costretta ad un impatto con la realtà distorto a causa di un ghigno che le impediva di trasmettere agli altri le sue emozioni.
Quattordici anni di cure, di operazioni, certo di lacrime che, alla fine, le permettono oggi, a 25 anni, di sorridere al mondo per la prima volta, di avere una vita normale. Le consentono di sperimentare allo specchio la bellezza di scoprirsi piacevole e di assaporare l’assoluta sintonia tra i propri sentimenti interiori e le reazioni della fisionomica.
E fin qui tutto bene. Una sorta di favola moderna, una Cenerentola del nuovo millennio. Quello che però disturba, e in qualche misura rivela la qualità umana della nostra informazione, è il modo con cui la storia sia stata presentata al grande pubblico. La conquista della dignità di Stefanie coincide, per la nostra cronaca, con la ritrovata appetibilità del suo look (abbonda infatti il corredo fotografico); gli articoli fanno leva sull’aspetto emotivo sentimentale della vicenda, al punto che la trafila chirurgica che l’ha rimessa in sesto è stata definita: chirurgia del sentimento.
Mi immedesimo in questa ragazza, soprattutto apro orecchie e cuore alla forza della sua narrazione, per niente sentimentale. Ho letto il suo blog che invito a visitare. Mi immedesimo con la famiglia che ha sostenuto questa giovane nella lotta contro la malattia e trovo riduttivo siglare il percorso sotto il titolo di chirurgia sentimentale. Non so dove Stefanie abbia usato questa espressione, non certo nel suo blog, scritto di getto e con grande sincerità.
So però che Stephanie ci offre una grande possibilità per riflettere. Il problema che l’affliggeva non solo la escludeva dall’esprimere gioia e sorrisi ai suoi coetanei (la qualcosa peraltro non le ha impedito di avere un compagno stabile per cinque anni), ma le ha comportato un reale handicap quotidiano di deambulazione e di nutrizione. Cose primarie e tutt’altro che sentimentali.
Stephanie ci fa riflettere – è vero – su come si possa incontrare pienamente la realtà solo quando forma e contenuto coincidono. Quando le infinite modulazioni dell’anima possono trovare nel volto altrettante infinite modulazioni muscolari che trasmettono il vero e il bello, al di là della parola. Ma non solo su questo.
L’esemplarità della vicenda di Stefanie è nascosta nella tenacia di una bimba di 11 anni che ha accettato la sfida della vita, conquistandosi senza ripiegamenti la libertà di essere se stessa contro una malformazione penalizzante. Non ci sono solo giovani senza nerbo e senza guida, ci sono anche giovani che accettano le sfide della circostanza, vedendo in esse – non il ripiegamento narcisistico suicida – ma la possibilità di rendere evidente la dignità umana proprio nella capacità positiva di operare un cambiamento.
A chi le ha offerto di migliorare ulteriormente il suo aspetto ha risposto chiaramente di non aver sopportato il dolore di anni, solo per un fatto estetico o emozionale, ma per conquistarsi una vita normale.
La vittoria di Stefanie è poi una vittoria di
Famiglia e di relazioni. Alla fine del suo blog ringrazia famiglia e amici senza l’aiuto dei quali non sarebbe tornata a sorridere e consiglia, a quanti dovessero sottoporsi alla chirurgia ortognatica, di armarsi dell’amicizia per superare l’ora dello scoramento.
Insomma in un mondo che mistifica il senso vero delle cose e delle relazioni la forza di questa testimonianza davvero in-segna! È stata più grande la chirurgia dell’anima in Stefanie che quella degli eccellenti chirurghi che l’hanno accudita.