La caratteristica peculiare del femminile è quella di dare la vita. Un mio grande amico, il Professore Giorgio Pardi primario alla Mangiagalli, diceva pubblicamente: “Se potessi nascere una seconda volta chiederei di nascere donna. Donna uguale donatrice di vita”.
E’ vero! Mettere al mondo un figlio è una grande impresa. Impresa ricca di emozioni, sensazioni, affetti ma anche dolore fisico. Tanto! Il dolore è lancinante, ti squarcia ti fa sentire come se ti stessi disintegrando.
Non si ferma. Una contrazione dopo l’altra, ravvicinate che non puoi prendere respiro. E poi le spinte. Resisti perché sai che un figlio nascerà.
Per associazione penso al clan d’Israele segregato in schiavitù dagli egiziani. Non erano ancora un popolo, dovevano nascere in questo senso e per nascere hanno dovuto affrontare le grandi fatiche di fuoriusciti. Quest’avventura dell’esodo in ebraico viene definita “iazzà”, verbo pieno di forza aggressiva ed espulsiva insieme. Lo stesso verbo viene usato per indicare la nascita, un momento crudo, di espulsione, quasi di violenza.
La madre spinge fuori suo figlio in modo sicuramente espulsivo proprio perché possa, spinto fuori dal suo corpo, nascere per entrare nella società degli uomini.
La donna, in questi momenti, può avere intorno mille persone ma è da sola con il suo dolore, con il suo male quasi incontrollabile.
Com’è pensabile rendere scherzoso questo avvenimento per cui un uomo uscirà dall’essere “segregato” nell’utero per venire alla luce iniziando, così, la sua avventura di libertà nel mondo?
Questo per commentare l’atteggiamento ilare e scherzoso di Robbie Williams che balla “Candy” davanti alla moglie sofferente in travaglio e ne pubblica il video.
Fatta salva la buona fede del cantante divenuto padre per la seconda volta, sento su di me il senso di incomprensione e di abbandono psicologico vissuto dalla moglie Ayda Fields.
E poi di tutto questo farne un video?! Che cosa voleva socializzare Robbie Williams?
Forse una vicinanza anche fisica, una mano tenuta e stretta, un panno morbido per asciugare la fronte sudata, una carezza sui capelli, avrebbero giovato molto di più alla partoriente.
Le scarpe rosse coi tacchi perché sempre elegante?
Probabilmente una bella camicina da notte anche col pizzo e abbottonata davanti avrebbe fatto sentire la signora molto più adeguata e più comoda.
Non è che abbiamo perso un po’ il senso delle cose?
Spingere con tutte le forze, arrivando allo stremo, perché un figlio possa nascere è una cosa molto seria.
Per il parto ci si prepara; le donne si applicano per riconoscere la muscolatura da rilassare, per respirare in modo facilitante, per assecondare il processo che fa sbocciare la vita.
E’ qualcosa di molto intimo: la madre vive con il suo bambino un evento che lei ricorderà per sempre e che al figlio donerà la vita.
Sono insieme, addirittura legati dal cordone ombelicale per iniziare poi il processo dello svuotamento e del distacco.
Momento unico e irripetibile anche se di figli, la donna, dovesse partorirne altri dieci.
Cosa misteriosa e grande!
Dalla sofferenza nasce la gioia.
La gioia non l’allegria; è così vera questa affermazione che la madre, dopo la nascita del figlio, vive un momento di tristezza perché il bambino non è più con lei. Non vanno più all’unisono. In letteratura medica questa tristezza viene definita baby blues che può trasformarsi anche in una forma di depressione che viene definita, infatti, “depressione post-partum”.
Tutto da prendere molto sul serio, niente da ridere! Poi si farà festa perché un bimbo ci è stato dato.