C’è una cosa che la mia cara amica Mary mi ha sempre contestato. Ed è che quando la gente mi chiede: “Cosa fai di bello nella vita?” io rispondo fiera: “la mantenuta!” La verità è questa e c’è poco da aggiungere: mio marito lavora, io sto a casa.
“Ma dai, dì almeno che fai la mamma…” mi redarguisce ogni volta. La mamma. Sì, magari fino a qualche anno fa era una mansione sostenibile. Ma ora che: i figli vanno tutti a scuola, al sabato mattina la più piccola prepara la colazione, e il maschietto mi aggiusta il tostapane ogni volta che fa le bizze… Francamente, mi risulta difficile dire che “faccio la mamma” come occupazione principale. Ovviamente c’è un’alternativa di posizionamento, e si chiama casalinga. Ma ammetto che pronunciare il termine, ogni volta mi produce sulla lingua quel sapore di minestrone-retrò che non riesco mai a digerir del tutto.
Tuttavia, oggi Mary dice di avere ottime notizie che hanno il gusto di un saporito riscatto: secondo una ricerca americana, le donne che si occupano della casa fanno dieci lavori in uno, per un totale di 94 ore alla settimana, e un valore complessivo di quasi 7mila euro al mese! Il salario “mancato” è ottenuto moltiplicando le ore dedicate dalle casalinghe a ciascuna attività domestica, con le tariffe medie delle corrispondenti professioni: addetta alle pulizie, cuoca, autista, psicologa e così via.
Nello sbandierare un valore che raddoppia di gran lunga lo stipendio del marito, la Mary è più che ormai spavalda. E si aspetta, ça va sans dire, che in un attimo lo diventi anche io.
“Oddio, 7mila euro sono tanti…” commento mentre attivo il robottino puliscitutto “Ci son dentro dieci ore di cucina alla settimana: per accaparrarmi di diritto un monte ore così, vorrà dire che da domani dovrò scartare le buste di bresaola più lentamente del solito…. E pensare che io – per un paio d’anni – ho lavorato in un ufficio per mille euro al mese. A saperlo prima, sarei corsa a casa a far la casalinga!” aggiungo provocatoria alla Mary.
Certo, il valore intrinseco dei mestieri e il guadagno conseguente è assolutamente virtuale, poiché mai nessuno pagherà una casalinga per fare quel che fa. Ma il sogno è duro a morire: “Ci andrebbe riconosciuto!” osserva lei con atteggiamento da rivendicatrice militante.
“Altrimenti? Non si dovrebbe essere contente, solo per il fatto di aver prodotto tanto valore per la famiglia? Fiere e basta?”.
Tanto più che il criterio di calcolo è assai pericoloso. “Dunque Mary, fammi capire: se io ascolto le tue paturnie al telefono per un’ora, è amicizia gratuita. Se invece, in veste di madre, sedo le nevrosi adolescenziali di mia figlia per altrettanto tempo, all’improvviso mi trasformo in una valente psicologa che merita un compenso da iscritta all’albo… Scusa, ma non sono forse le facce della stessa medaglia?
Altro caso: è vero che se io fossi single, forse la sera per cena mi accontenterei di succhiarmi un surgelato, ma che differenza fa se cucino un piatto di spaghetti per me sola, o per cinque? Il tempo impiegato è lo stesso, ma nel secondo caso, divento una cuoca che ‘vale’ dieci euro l’ora. Di questo passo, vuoi vedere che se canto una ninna-nanna senza stecche, mi merito il cachet della Pausini?”.
Dove sta la differenza? Certo, una madre di famiglia fa certe cose non solo per sé, ma anche per gli altri: vedi scorrazzare il figlio agli allenamenti, ripassare i confini della Basilicata, magari fino al punto di non capire più in quale diavolo di sussidiario andare a controllare… la tabellina del Pascoli. Ma se il criterio è questo, allora perché non buttar dentro al conteggio anche tutte quelle volte che le donne prestano i loro servizi serali, vivendolo come un dovere al marito? E qui, altro che straordinari notturni: con tariffe orarie del genere, c’è da aspettarsi uno stuolo di angeli del focolare che si possono permettere di parcheggiare la Jaguar nel cortile dell’asilo.
“Paradossi a parte, c’è anche un altro punto da tenere presente, Mary. Diciamocelo: il lavoro della casalinga è un’attività che al giorno d’oggi non è particolarmente stimata a livello sociale, e pertanto anche noi alla fine cerchiamo di sfuggire all’etichettatura; ci coniamo addosso termini più cool come quello di stay-at-home-mum, o demandandiamo certe attività di manovalanza a terzi: la donna delle pulizie, la titolare della tintoria, la baby-sitter, la badante per lo zio anziano, e non da ultimi i nonni evergreen, oggi più che mai jolly nel gioco del risparmio di tempo. Ora, nessuna di noi due fa uso sistematico e costante di questi aiuti, ma conosco tante altre donne che lo fanno in buona parte (almeno prima della crisi). Al netto di tutti questi aiuti esterni, siamo oneste: quanto resta sulle spalle della casalinga?”
La Mary resta perplessa per un attimo, poi mi risponde a tono: “Hai ragione: gran parte del mio tempo lo passo più a coordinare che non a ramazzar per terra. Dirigere colf, babysitter, insegnanti che diano lezioni private… è un mestiere da manager! Contabilizziamolo a 50 euro/ora, minimo sindacale di un dirigente, e non se ne parla più!”.
Come non detto. Mentre mi allontano, mi prende un certo senso di amarezza.
E’ triste parlare di valore di una persona in termini monetari, eppure oggi pare la normalità. Vale anche per l’educazione: nonostante sia un investimento che si tramanda di generazione in generazione, pare che oggi abbia valore solo se è monetizzabile.
Ma siamo proprio sicuri che si possa quantificare in soldoni il rapporto d’amore tra una madre e un bambino, o tra una moglie e un marito? Stare con i figli, accompagnarli dal primo biberon alla prima sbronza ha un valore che a mio parere è incommensurabile. La soddisfazione, il gusto di aver visto il proprio bebè diventare uomo è incomparabile.
E per fortuna: se da domani dovessero darmi un compenso per davvero, dovrebbe essere parecchio alto. Potrei poi permettermi di pagarne le relative tasse, fino alla pensione?