“Ho finalmente chiuso con la psicoterapia di coppia”. Oh, finalmente. Oggi si apre con una buona notizia. “Dunque, tu e Luigi adesso andate alla grande! Sono felice per voi..” sgomito Giovanna con un sorriso sincero. “Eh, no aspetta. Cambiamo solo terapia. Da domani ci affidiamo a un altro trattamento: la cine-terapia. Se la si fa una volta la settimana per almeno nove mesi, aiuta ad allontanare l’ombra del divorzio di circa tre anni.



Ti spiego: tu e lui vedete un film d’amore – o una pellicola comunque a tema – e poi ne discutete. Dopo aver visto una storia insieme, ci si capisce meglio. Un po’ come quando metti i sottotitoli…”. “In effetti” devo ammettere “se funziona davvero, in questi tempi di crisi, forse non è una cattiva idea: anche se vi concedeste ogni volta un blu-ray ad alta definizione, vi costerebbe comunque meno di una parcella dello strizzacervelli che per definizione è ancor più alta. Poi, la seduta potete tranquillamente farvela a casa. Tra la spesa on-line, e l’home-banking ci infilate uno Jung-on-demand che….”.



“Ma guarda, ti dirò” mi interrompe  “il vantaggio principale è che su certe cose, la cineterapia è molto meno imbarazzante: Brad Pitt non ci chiederà mai della nostra frequenza mensile”.Per fortuna, mio marito e io per ora non ne abbiamo bisogno, perché credo proprio che questa cineterapia non sarebbe per noi. Questione di gusti divergenti. Se ad esempio stasera gli chiedessi di scegliere tra ‘Love Story’ e ‘Pretty woman’, litigheremmo ancor prima dei titoli di testa. Volerebbero parole da censurare, come si fa con le scene eliminate. Altro che fare pace! Piuttosto, se lo scopo della terapia è quello di discorrere apertamente dei problemi di coppia, l’ideale sarebbe mettere il mio lui nel miglior mood possibile per la conversazione. Proporgli trame che arrancano a suon di colpi di fulmine? Di certo non basterebbero; occorrerebbe come minimo una catastrofe naturale. Addolcirlo con la neve che scende a Notting Hill? Lo intenerirebbero di più quattro bombe che piovono sul Pentagono. Trappola sulle montagne rocciose, Demolition man, Delitto a Chinatown… Questi sì che sono film che me lo metterebbero in un atteggiamento disponibile!



L’unico problema – se vogliamo – è che io mi addormenterei; giusto un momentino. Una raffica di proiettili mi fa lo stesso effetto di una processione di pecore. Va da sé che dopo esser finita nell’incubo di un cataclisma onirico – magari peggiore di quello sullo schermo – mi ridesterei di colpo.

Evoluzione peraltro più che opportuna, visto che il respiro pesante rischierebbe di non essere la colonna sonora migliore per un preludio di confidenze. Comunque, qualcosa ci avremmo guadagnato: lui si sarebbe rilassato a suon di revolverate; io mi sarei sparata un riposino; e a questo punto – accese le luci – saremmo  pronti per affrontare un po’ delle questioni sul tavolo: il budget da allocare per le nostre prossime vacanze romane, il momento in cui lui si deciderà finalmente a riparare la finestra sul cortile, il modo per conciliare il derby di domenica prossima con il matrimonio del mio migliore amico…

Finalmente, una discussione con un buon copione, insomma. Salotto. Ore 23.25. “Ti è piaciuto?” domanda lui elasticandosi le braccia verso l’alto per raddrizzare la schiena indolenzita “Intendo il film”. “Ah, sì! Bè, abbastanza. E’ che a un certo punto mi sono appisolata… Però poi mi sono ripigliata e …sì, mi è piaciuto.  Soprattutto la fine, quando ero più sveglia”. “Intendi dopo che lui ha liberato da solo i centotrentanove ostaggi?”.  “Sì, ecco, da lì l’ho seguito. Stavolta, sul finire sono anche riuscita ad immedesimarmi nella protagonista!”. Sarà fiero di me. Con Alien di settimana scorsa non ce l’ho fatta. “Ma…” corruccia la fronte un po’ perplesso “il riscatto dei prigionieri era praticamente il termine della storia. Rimaneva solo l’ultima scena, quella in cui lei va a letto con Hugh Jackman; poi son partiti i titoli di coda”.

E mentre io penso bene di schiodarmi dal divano per correre a prendere una birra in frigo, lui resta lì sul confuso, sotto la luce dorata dell’abatjour come una bella statuina. E’ vero che ogni tanto ci arruffiamo, ma perfino dopo quindici anni, per me lui resta ancora il migliore: più bello di un Oscar.E a volte, un buon film diventa l’occasione migliore per riscoprirne la memoria. Se vogliamo proprio dare un senso alla cineterapia, è giusto questo. Per risolvere tutto il resto, siamo noi in primis i registi della nostra vita.