Altro che “Dai, stai buono. Ecco, ti metto il dvd di Peppa-pig”. Anziché col cartone, a certi genitori capita talvolta di calmare i bambini col metadone. Accade nel Regno Unito, dove casi del genere sembrano sempre più frequenti. Per lo più – secondo l’allarme lanciato dall’associazione inglese a sostegno delle famiglie (Adfam) lo scorso 29 Aprile – si tratta di situazioni in cui uno dei genitori segue una terapia di disintossicazione dalle droghe, che prevede appunto l’uso del metadone. Ma non sono solo incidenti: nei casi più gravi, la sostanza è stata somministrata volontariamente nell’intento di tranquillizzare il piccolo.



E nemmeno gli americani scherzano con gli psicofarmaci propinati ai bambini in virtù di sedativi. A fronte di un numero di casi come questi in costante crescita, più in generale, i genitori (come me) che almeno una volta hanno accarezzato l’idea di intingere il ciucio nel whisky aumentano in maniera esponenziale. Anche se poi sono gli adulti a ripiegare su di un goccetto salvanervi che li preservi dall’esaurimento, resta il fatto che oggi l’iperattività infantile viene sempre più considerata un inconveniente temuto al pari dell’arrivo di una nidiata di pidocchi. In quanto plurimadre di attivissimi e vispi ragazzini, ne so anche io qualcosa. Quando i miei figli piangevano – per lo spuntare di dentini prima, di brufoli poi – ho sempre stretto i denti aspettando l’arrivo delle agognate vacanze ristoratrici.



Finchè qualcosa è cambiato. A segnare un punto di svolta, sono state le più recenti – quelle la cui destinazione era l’appartamentino di famiglia in montagna. Qui si è dovuto infatti fare i conti anche con le aspirazioni del padre di famiglia, il cui ideale vacanziero coincideva con una lunga maratona all’insegna di sonno e cibo a volontà. Ora: rifoccillate tre pargoli – già arzilli di loro – a suon di pizzoccheri e costringeteli a un allettamento coatto fino alle dieci del mattino; a metà pomeriggio disporranno di una quantità di energia sufficiente a scalare il Cervino a mani nude. Ma poiché il tempo da lupi non consentiva nemmeno quelle quattro zampate in giardino per digerire, ci si è trovati stretti stretti fino all’ora di cena a menar carte da briscola.



A questo punto, davanti al tentativo di metterli al silenzio in cameretta alle nove in punto, ci siam presi di quei sonori due di picche che c’è voluto poco per scalfire in fretta ogni velleità di nostro riposo. Intrappolati in cinquantasette metri quadri, e dopo quasi tre ore di capriole che ricordavano tanto le marmotte nella stagione degli amori, abbiamo deciso per la ritirata: rientro anticipato in città. 

I nostri centotrenta metri di appartamento milanese playstation-munito ci sono parsi improvvisamente un lusso sfrenato. Non si respirava più aria di montagna, ma almeno noi genitori iniziavamo a pigliar fiato. Questa volta la vacanza ristoratrice non ha funzionato, ma forse è stato meglio così. Terminate infatti le ferie, non mi è rimasto che rivalutare la settimana scolastico-lavorativa, un tour senza sosta che se non altro asciuga più kilowatt di un motore elettrico.

La giornata tipo dei ragazzini prevede più precisamente: sveglia alle sette in punto, stress da interrogazione, stress da madre che vuole sapere tutto sull’interrogazione. E poi compiti, catechismo, atletica, caccia al tesoro, caccia al parcheggio, docce (litigi tra sorelle per chi deve farla prima), mezz’ora di playstation (litigi fra fratelli per chi deve usarla dopo)… Insomma un concentrato di attività che aiuta ad assorbire quello strabordare di energia cinetica in dotazione a ogni corpo animato d’età inferiore ai venti anni. Se non che, giusto due sere fa, proprio mentre riuscivo a spegnere l’abatjour della cameretta a un orario decente, mi si è accesa una lampadina: sarà mica che per sedare questi giovinastri basti giusto caricarli di qualche sforzo in più? Cribbio, sarà banale, ma mi ci è voluto un po’ per rendermene conto: il vero sedativo-medicina contro l’iperattività si chiama “sana fatica”.

Qualcosa per la quale mi ci vorrebbe la prescrizione medica, perchè io da genitore – a mia volta – faccio ‘fatica’ a somministrare da sola ai miei delicati rampolli, quasi fosse più pericolosa di una droga: li scorrazzo in macchina anche alla palestra dietro casa, taccio se la nonna arranca con le loro cartelle sulle spalle, corro a servir loro cocktail di spremute mentre languono passivi davanti al televisore. Posto che i figli sono esuberanti per natura: è meglio propinar loro un drastico calmante, o piuttosto somministrare al genitore qualche pillola di fiducia nel rischiare a domandare di più? Si parla tanto di relazione fra iperattività e deficit di attenzione dei ragazzi. Io credo piuttosto nello stretto legame tra iperattività ed eccesso di attenzione dei genitori. Quando si dice che le colpe dei genitori, prima o poi cadono sui figli c’è del vero: anche le colpe – proprio come i nostri giovinastri – non stanno mai ferme.