Anche chi come me di solito è miope rispetto ai fatti di cronaca minore, quando i giornali portano alla luce scoop e contro-scoop in un sol colpo, si viene abbagliati. I fatti: una ragazzina, di appena 11 anni, ha scritto un messaggio Facebook alla madre di Denise Pipitone – bimba scomparsa nel 2004 – asserendo d’esser proprio lei Denise, la figlia da anni ricercata per terra e per mare. Ma presto è arrivata la smentita: la ragazzina stessa ha ammesso che si è trattato ‘solo’ di uno scherzo. Se fosse stata rapita dalla smania di protagonismo a tutti i costi, o da una noia a spese di tutti, non è chiaro. Resta il fatto che si è trattato di tanto rumore per nulla.



A questo punto, le reazioni dell’audience sono sono arrivate infallibili, precise come il test del DNA riservato alla ragazzina: dinanzi ad una beffa di così bassa lega, il commento sulla bocca di tutti è riassumibile in quattro laconiche parole: scherzo di pessimo gusto. Io, da madre di un vivacissimo ragazzino della stessa età, mi unisco al facile coro degli opinionisti, ma mi rendo anche conto di tutta l’umanità che circonda la faccenda: il brivido dello scherzo a quell’età è semplicemente naturale. Scagli il primo post chi – ai tempi della scuola media – non s’è macchiato della sua furfanteria. Certo, c’è bravata e bravata. Quando non c’erano tasti di computer da premere, si andava a scampanellare di nascosto ai citofoni in fondo alla via e si scappava di corsa subito dopo. Non serviva nemmeno avere complesse competenze informatiche, bastavano due gambe buone e via da sotto il balcone…



Se poi si voleva essere un filo più sottili, si mentiva alla mamma sul voto in matematica: bastava riferire a casa di quel fantomatico “otto” all’inizio dell’anno, momento ancora lontano da pagelle e colloqui post-natalizi. Ecco, oggi i miei figli non possono più mentirmi su come è andata l’interrogazione sui polinomi misti semplicemente perché i voti mi arrivano direttamente online. Come dire: gli strumenti informatici – di cui peraltro io sono una gran fruitrice – mettono al riparo noi genitori dalle piccole frodi. Ma non dalle grandi. Alla faccia della tutela della privacy, siam tutti più esposti. Con profili e account sparsi per il mondo web, i talloni d’Achille si sono moltiplicati.



I ragazzi lo sanno bene e tengon le frecce per colpire a portata di click. Se penso quindi alla piccola truffatrice – che ha illuso una madre piena di speranza – e in generale alla sua generazione (quella dei cyberbulli) non credo siano ragazzi più pericolosi di quanto non lo fossimo noi; sono gli strumenti che hanno a disposizione che sono più potenti. A proposito di armi pericolose, anche i maggiorenni non scherzano. In nome di una novità da sbandierare, i media che han subito rilanciato i fatti non si son fermati a considerare l’attendibilità o l’importanza dell’accaduto.

E chi lucra sulle tristezze altrui di solito non lo fa nemmeno per scherzo, ma per mestiere. Non si sarebbe potuto tacere semplicemente questa ‘notizia’, se notizia si vuol chiamarla? No, basta che funzioni e faccia notizia, per dirla alla Woody Allen. E siccome anche lo scoop oggi non basta più a catalizzare i lettori, bisogna attaccarci il controscoop. Allora il dolore della madre di Denise diventa il dolore di tutti noi, noi pesci che cadiamo facilmente nella rete, noi così facili da imbrogliare con messaggi che – quando apriamo lo schermo del computer – ci piovono addosso. Talvolta come gocce avvelenate.