Chi era Mouna Guebla, la donna kamikaze che si è fatta esplodere a Tunisi lo scorso 29 ottobre (di cui vi avevamo parlato in questo articolo) in quello che è l’ennesimo caso in cui a compiere un attentato non è un uomo? È quello che ci si chiede in tutto il Paese dopo che un sempre maggiore numero di donne, soprattutto molto giovani come era il caso di Mouna, decidono di radicalizzarsi e abbracciare la causa dello Jihadismo: nel suo caso, come si è appurato dopo, si parla di una 30enne di ottima cultura (era anche laureata) ma che, da disoccupata, ha scelto di immolarsi la causa dell’Islam radicale e tra gli inquirenti il sospetto che dietro il suo gesto vi sia l’ISIS è forte anche se al momento non è arrivata nessuna rivendicazione ufficiale per il suo gesto: tuttavia, l’episodio dello scorso 29 ottobre ha messo in allarme dal momento che si è trattato, di fatto, della prima kamikaze al femminile, segno che forse qualcosa sta cambiando nella strategia del terrore dell’autoproclamatosi Califfato islamico e che nel Paese il fenomeno della radicalizzazione coinvolge sempre più ragazze.
TUNISIA, LA RADICALIZZAZIONE “AL FEMMINILE”
Mouna Guebla si era fatta saltare infatti sull’Avenue Bourguiba, nel pieno centro della capitale tunisina, anche se ha fallito il suo obbiettivo dato che l’esplosione non ha fatto alcuna vittima ma provocando solo il ferimento di alcune guardie e di altri civili nei paraggi: ad ogni modo, il segnale resta dal momento che la 30enne non faceva parte di alcuna lista di “sorvegliati speciali” e dunque il rischio che altre donne come lei, al di fuori dei radar ufficiali, possano colpire è molto alta. È noto infatti alle autorità che sono in molte, negli ultimi anni, ad aver viaggiato molto in Medio Oriente, soprattutto in Siria e Libia, dove si son radicalizzate per poi tornare in Tunisia: come nel caso della Guebla che, stando a un articolo apparso sul portale del Washington Institute for Near East Policy, aveva però trascorso un breve periodo nel villaggio di Ettadhamen, sempre in Tunisia, dove aveva abbracciato la causa della Jihad. A questo si aggiunga la difficile situazione economica dello Stato nordafricano e gli alti tassi di disoccupazione giovanile e che ha portato molti al di sotto dei 30 anni ad “arruolarsi” al servizio dell’ISIS. Un fenomeno, va ricordato, non comune a tutti i Paesi nordafricani o arabi, ma tipico proprio della Tunisia, dove si parla di “Jidah al nikah”, alludendo alla guerra che le donne del Califfato combatterebbero per portare la purezza dell’Islam anche a quelle latitudini pure con l’uso di armi e organizzandosi in vere brigate al femminile.