Ha dovuto lavorare fino al giorno prima di partorire per non perdere il posto ed è tornata in servizio 24 giorni dopo la nascita. Per questo motivo il titolare di un bar di Camisano, Gabriele Nizzetto, è stato condannato ad un anno e cinque mesi di carcere dal giudice per l’udienza preliminare di Vicenza, Roberto Venditti. Secondo il Gup è colpevole di estorsione per aver costretto la dipendente a lavorare fino all’ultimo durante la gravidanza e a riprendere quasi subito l’attività senza percepire la maternità. L’avvocato Lara Franchini, che difendere Gabrielle Nizzetto, è pronta a ricorrere in appello: «Non c’è stata estorsione né minacce». Di diverso avviso è il legale della ragazza: «Era assunta a tempo parziale ma verso di lei è stato tenuto un atteggiamento criminale», ha dichiarato, come riportato dal Corriere della Sera. La sentenza di primo grado ha stabilito che il 65enne debba corrispondere un risarcimento di tremila euro alla barista per danni non patrimoniali, in aggiunta ad altri duemila euro che sono stati già liquidati, oltre al pagamento delle spese di costituzione e giudizio.



COSTRETTA A LAVORARE FINO AL GIORNO PRIMA DEL PARTO

La vicenda risale al 2011 quando la giovane, che oggi ha 31 anni, lavorava al bar La Meridiana a Camisano Vicentino con un contratto a chiamata. Faceva la barista per poche ore la settimana e quando rimase incinta avvisò il titolare del bar. «Lui le disse chiaramente che se avesse preso le mensilità previste per legge sarebbe stata licenziata. Qualche mese dopo, in autunno, ribadì lo stesso concetto, tanto che lei lavorò fino alla fine», ha spiegato l’avvocato Gaetano Palermo, legale della ragazza, al Corriere della Sera. Nella sentenza il giudice ha accolto la tesi del pm Hans Roderich Blattner che aveva chiesto l’imputazione per estorsione sostenendo che la ragazza era stata «ripetutamente minacciata di licenziamento ove si fosse astenuta dal lavoro». Questa circostanza l’aveva indotta «in stato di gravidanza con parto cesareo programmato per il 16 dicembre 2011 a lavorare fino al 15, data di ricovero, e a riprendere la prestazione lavorativa il 9 gennaio 2012». Quindi, la donna sarebbe stata vittima di estorsione perché privata dei mesi della maternità e dell’indennità di legge. La difesa, pronta a ricorrere in appello, sostiene che non ci sono prove delle minacce e che non c’è stata estorsione, quindi il fatto andava sanzionato al massimo con una contravvenzione che ormai sarebbe prescritta.

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