Donne penalizzate sul lavoro e licenziate quando scelgono di sottoporsi a trattamenti per la fertilità. L’Independent ha svelato l’atroce realtà delle donne dipendenti che desiderano avere un bambino e intraprendono un percorso con un trattamento per la fertilità. Uno studio condotto da Pregnant Then Screwed ha scoperto che tra le donne intervistate, quasi la metà di chi si sottopone a un trattamento per la fertilità ha informato il proprio capo.
Circa un quarto di queste donne dipendenti ha dichiarato di non aver ricevuto alcun sostegno dal proprio datore di lavoro. Un altro quarto ha affermato di aver subìto un trattamento ingiusto segnalando anche molestie fisiche o emotive, mobbing e licenziamento. L’Independent ha raccolto la storia di Serena (nome di fantasia) che, mentre aveva intrapreso un trattamento per la fertilità, ha denunciato di essere stata oggetto di “un’enorme discriminazione” sul lavoro. Ha anche spiegato che “da quando me ne sono andata, hanno inserito nei loro contratti un emendamento che dice che non permetteranno permessi – retribuiti o non retribuiti – per qualsiasi trattamento di fertilità”. Ma non solo, perché sul posto di lavoro “mi è stato ripetuto più volte che gli effetti collaterali del trattamento per la fertilità sono autoinflitti, e mi sono sentita egoista per aver adottato misure speciali che hanno messo sotto pressione il resto del team solo per poter avere un bambino“.
Donne discriminate sul posto di lavoro per trattamenti fertilità: “dissero che aborto era cosa migliore”
Discriminazione sul posto di lavoro delle donne che scelgono di intraprendere un trattamento per la fertilità. Secondo un sondaggio citato dall’Independent, una donna su cinque che ha dichiarato al proprio datore di lavoro di aver perso una gravidanza si è sentita trattata ingiustamente. Di contro, appena il 6% dei partner di donne che hanno subìto una perdita ha reputato di essere stato trattato in modo ingiusto dopo averlo comunicato al proprio datore di lavoro. Marina (nome di fantasia), che oggi ha 37 anni ma che all’età di 21 anni ha avuto un aborto spontaneo, racconta che quando è tornata a lavoro “una delle socie dello studio mi ha accolto nel suo ufficio. Mi disse che era la cosa migliore che mi fosse capitata, perché un bambino avrebbe distrutto la mia carriera. Ero così scioccata” ha dichiarato all’Independent. E “poche settimane dopo sono stata licenziata per ‘scarso rendimento’. Questo nonostante avessi spiegato che avevo perso il mio bambino”.
Joeli Brearley, direttore generale di Pregnant Then Screwed, ha dichiarato all’Independent che all’inizio dell’anno l’organizzazione ha lanciato una linea di supporto per la salute mentale, registrando una vera e propria “esplosione” e avvertendo che “le madri sono in difficoltà“.