Negli ultimi tempi sembra sempre più esserci una linea di demarcazione tra l’essere mamma e lavoratrice al tempo stesso. Spesso i datori di lavoro, già in sede di colloquio, chiedono alle donne che si propongono per quel determinato lavoro se hanno figli o se hanno intenzione di averne. E di fronte a una tale richiesta già si profila un sentore di discriminazione ai fini dell’assunzione. Negli Usa, come riporta Dagospia, ci si è spinti oltre: per invitare le donne a ritardare eventuali gravidanze e dedicarsi solo al lavoro le aziende americane offrono il congelamento degli ovuli tra i fringe benefits.



Si tratta di un ‘trend’ che sta prendendo sempre più piede, e che non sembra nemmeno essere disdegnato dal mondo femminile, che a fronte di tali richieste si sentono quasi liberate da una pressione che la società esercita di continuo sul dover necessariamente aver figli a partire da una certa età. Il desiderio di fare carriera sembra essere predominante tra le donne negli Usa.



DONNE, COME CONTROLLARE LA PROCREAZIONE E NON SACRIFICARE IL LAVORO

La trovata delle aziende americane mira a controllare la procreazione per non sacrificare lavoro e carriera. Sono soprattutto società televisive, quotidiani, studi legali, colossi della Silicon Valley e perfino la caffetteria Starbucks a essere disposti a finanziare buona parte della procedura di congelamento degli ovuli alle donne dipendenti. L’aiuto rientrerebbe tra i fringe benefits, per un valore che può aggirarsi anche fino a 25 mila dollari per donne che lavorano almeno 20 ore a settimana. Si tratta di un importo che va a coprire quasi completamente le spese, a fronte di costi di congelamento che si aggirano sui 30 mila dollari.



Una modalità, questa, che a detta delle aziende che stanno seguendo il ‘trend’, permette di costruire sia la propria famiglia che la propria carriera. In base alle statistiche, tra l’altro, la pratica del congelamento degli ovuli è aumentato del 60% dal 2015 al 2020, e cavalcando questa onda anche in questo campo si tende a fare business. Sono già il 19% dei datori di lavoro a offrire alle donne dipendenti questa pratica. E tra queste si registra il 27% delle aziende con più di 5.000 dipendenti e 33% dei gruppi con più di 20.000 dipendenti.