Per le celebrazioni della Festa della donna tenutasi l’8 marzo scorso sono uscite sui media molte statistiche, studi e report che imbrigliano il fenomeno socio-culturale della lenta avanzata delle donne alla conquista della parità delle condizioni sociali, ma soprattutto lavorative, fra i due sessi. Molte le variabili prese in considerazione per l’inclusione femminile, come la flessibilità dell’orario di lavoro, richiesto dall’85% delle lavoratrici (studio 2024 di ManPowerGroup), ma non solo da loro: anche gli uomini vorrebbero mantenere il remote working dei due giorni a settimana, a dispetto del trend attuale dove le imprese chiedono maggiore presenza fisica sul posto di lavoro. Abbiamo rilevato dai vari dati anche l’iniqua retribuzione per lo stesso ruolo o diversa possibilità di carriera, che si dimostra con la sottorappresentazione femminile nei ruoli di leadership che non raggiunge il 30% (World economic forum).



L’Unione europea promuove attivamente un mercato del lavoro equo, inclusivo e sostenibile come parte della sua agenda per la crescita economica e lo sviluppo sociale. L’introduzione della certificazione sulla parità di genere in Italia a partire dal 1 gennaio 2022 è un riflesso degli sforzi nazionali per adeguarsi agli standard e alle direttive dell’Unione europea in materia di uguaglianza di genere. Il fine della certificazione è attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità. Ma cosa viene richiesto? La legge 162/2021 ha previsto l’estensione dell’obbligo di redazione, con cadenza biennale, di un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile, in relazione a occupazione, reclutamento, assunzione, inquadramento contrattuale, retribuzione complessiva, formazione, promozione professionale e conciliazione vita-lavoro, inclusa la presenza di politiche aziendali per un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso, a tutte le aziende private o pubbliche con più di 50 dipendenti.



In aiuto alle imprese che devono dotarsi di un sistema di gestione per la parità di genere, UNI (Ente italiano di normazione) ha pubblicato il 16 marzo 2022 la UNI/PdR 125:2022. La Prassi di riferimento definisce le Linee guida sul sistema di gestione per la parità di genere, prevedendo l’adozione di un insieme di indicatori prestazionali (KPI) inerenti le politiche adottate dalle organizzazioni. Quest’ultime sono state suddivise in quattro fasce, in base al numero di addetti (da 1 a 9; da 10 a 49, da 50 a 249; oltre i 250) e per ciascuna viene definito il set di KPI considerati coerenti alla dimensione dell’organizzazione.



Le sei aree di indicatori di performance (KPI) per valutare l’efficacia delle azioni intraprese dall’organizzazione al fine di creare un ambiente di lavoro inclusivo, sono:

diversità e inclusione demografica: quest’area si concentra sulla composizione demografica dell’organizzazione, inclusi dati come l’età, il genere, l’etnia, l’orientamento sessuale e l’identità di genere dei dipendenti;

accesso alle opportunità di sviluppo e avanzamento: si valuta se ci sono disparità nell’accesso alle opportunità di formazione, sviluppo professionale e avanzamento di carriera tra dipendenti di diversi generi;

clima organizzativo e cultura inclusiva: questa’area valuta la percezione dei dipendenti riguardo all’uguaglianza di genere, il rispetto delle diversità e l’equità nelle pratiche di lavoro;

governance: guarda a politiche aziendali inclusive che promuovono l’uguaglianza di genere, come il congedo parentale, politiche anti-discriminazione e iniziative di equilibrio lavoro-vita;

rendimento e soddisfazione dei dipendenti: si valutano prestazioni, tassi di assenteismo e rotazione del personale disaggregati per genere;

coinvolgimento della leadership: viene valutata la percentuale di leader coinvolti attivamente in programmi di diversità e inclusione.

Gli indicatori di ciascuna area possono essere di natura quantitativa e qualitativa.

Queste aree e i relativi KPI possono essere utilizzati dall’organizzazione per valutare le proprie prestazioni in materia di diversità di genere e inclusione, identificare le aree di miglioramento e monitorare i progressi nel tempo. L’obiettivo principale di questa certificazione è promuovere un cambiamento culturale e strutturale all’interno delle organizzazioni, incoraggiando pratiche di gestione delle risorse umane più equilibrate e inclusive. Questo non solo beneficia i lavoratori di entrambi i generi, ma contribuisce anche a una maggiore efficienza e competitività delle imprese e dell’economia nel suo complesso. A oggi più di 1480 aziende italiane sono certificate (dati aggiornati a febbraio 2024, presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le Pari opportunità).

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