Il dilemma che, pare, sembra assillare chi ha visto Don’t look up (il film Netflix evento del periodo natalizio) giudicando dalle valanghe di post sui social che ne dissertano è: “un film in difesa dell’ambientalismo o una amara satira della pandemia di Covid?”. È significativo che la maggior parte dei commentatori (e dei recensori della stampa) propenda per la prima ipotesi. Ci chiediamo: e perché mai una cometa in rotta di collisione verso la terra sarebbe causa del surriscaldamento globale causato dagli uomini? È vero che il protagonista, un fantastico Leonardo DiCaprio con pancetta nella parte dell’astronomo nerd e depresso Randall Mindy, è da sempre associato alle battaglie ambientaliste, ma questo significa fermarsi all’apparenza e confermare il messaggio più forte del brillante regista Adam McKay: l’incomunicabilità che ci pervade ormai tutti e l’incapacità di capire il prossimo, chiusi come siamo nell’individualismo e nella superficialità da fake news più esasperate. Ma anche come funzionano i meccanismi sociali, psicologici, politici e mediatici quando abbiamo a che fare con una emergenza.
Il film, infatti, è una amara satira della pandemia e di come la stiamo vivendo. Basta il momento in cui chi contesta l’esistenza stessa della cometa denunciata da Di Caprio e dall’altrettanto brava Jennifer Lawrence, urla “No comet! No comet!”, esattamente come oggi quando sentiamo la gente strillare “No Vax! No Vax!”, o quando la cometa diventa ormai visibile anche a occhi umani urlano “Don’t look up!”, cioè non guardate la realtà.
O la pratica dell’insulto nei confronti di biologi, virologi, medici quando DiCaprio esasperato urla alla tv all’ennesimo tentavo fallito di spiegare l’emergenza data dalla cometa: “Non tutto ha bisogno di sembrare sempre brillante, interessante o piacevole. Hanno fatto fuori gli scienziati. A volte dobbiamo solo riuscire a dirci delle cose. Ve lo ripeto: c’è una cometa. E questa cometa esiste, perché l’abbiamo vista. Quale altra prova volete? Perché non capite? Cosa ci è successo a tutti quanti?”.
Un cast straordinario, oltre ai due attori già citati, che la dice lunga come le tv pay per view stiano facendo fuori il cinema: Cate Blanchett, irriconoscibile truccata da milf sessuomane e Meryl Streep nel ruolo di Presidente degli Stati Uniti, un ruolo ricavato un po’ da Donald Trump e un po’ da Hillary Clinton. La presidente ha altre preoccupazioni quando DiCaprio e la Lawrence arrivano con la terribile notizia dopo aver atteso fuori dell’Ufficio Ovale un giorno: qualche problema con la nomina di un giudice della Corte suprema, l’ennesimo sex gate, la campagna elettorale che si avvicina. Chi se ne frega della fine del mondo. Non sarà mica la fine del mondo.
Brillante la regia: fino a quasi metà pensi di vedere l’ennesimo film catastrofico drammatico, poi prende il sopravvento una satira irresistibile. Questo sovrapporsi di piani, la nostra realtà quotidiana e scene da spanciarsi dalle risate, è la forza del film, così come il fatto (spoiler) che, vivaddio, non finisce bene. Come ha scritto il critico del San Francisco Cronicle, “potrebbe essere il film più divertente del 2021, ed è anche il più deprimente, una strana combinazione che lo rende unico”. Ha invece torto Variety, definendolo un “Armageddon di sinistra” o l’Hollywood Reporter che dice “(un film che) vuole far sentire i suoi spettatori superiori a quegli amorali conservatori, quei liberali che pensano solo a se stessi e quei capitalisti avidi e insaziabili”.
La genialità di McKay è che trascende la politica: tutti, da destra e da sinistra, democratici e repubblicani, sono dei perfetti imbecilli. Basti vedere come è reso magnificamente lo Steve Jobs/Elon Musk da Mark Ylance, nel ruolo del miliardario visionario Peter Isherqwell tutta transizione ecologica e elogio della realtà virtuale (e principale contribuente della campagna elettorale della presidente, tanto da convincerla a cacciare gli scienziati dal piano per salvare il pianeta). Il film prende in giro un po’ tutti, ad esempio la Greta Thunberg di “I want you to panic” quando la Lawrence urla alla tv “Dovete aver paura perché morirete tutti!” e anche gli stessi virologi, quando DiCaprio finisce per essere catturato nell’improbabile ruolo di “scienziato più sexy d’America”: vi ricorda qualche virologo di casa nostra, uno di quelli sempre in tv?
Altra spettacolare berlina è riservata ai media, con la coppia nauseante di anchorman e anchorwoman interpretati da Tyler Perry e Cate Blanchett che davanti all’annuncio della possibile fine del mondo, non sanno fare altro che chiedere di “rendere la cosa divertente” e se c’è la possibilità che la cometa colpisca “la casa della mia ex moglie”. Tutto diventa finzione nel mondo dominato dai media, nessuna verità, nessuna serietà. Nessun dramma reale, anche di fronte ad un evento che si prefigura come imminente catastrofe, tutto è vissuto come barzelletta.
Molti i colpi di scena che non vogliamo spoilerare, ci piace solo ricordare il ragazzino che si fidanza con la Lawrence e che nell’ultima scena, quando gli scienziati “buoni” si riuniscono con la famiglia di DiCaprio per un’ultima cena e ognuno si lascia andare alla tristezza, prende le mani di tutti e recita una preghiera a Dio. Certo, è molto americano, ma alla fine è il messaggio positivo che un film senza un finale positivo lascia sottinteso: affidiamoci a Dio, è l’unica cosa che noi essere umani possiamo fare di sensato. C’è una dimensione dell’umanità che merita sempre rispetto perché rivelatrice di un limite: quella di chi è in ginocchio. E mendica. “All may not be just fine”, canta Bon Iver nel finale, “Potrebbe non andare tutto bene”. Noi, pieni di dubbi su tutto, non ne abbiamo avuti granché su questo.
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