Lunedì nel primo pomeriggio è prevista presso la prima sezione del Tribunale nazionale antidoping del Coni a Roma l’udienza per valutare la posizione degli ex medici Fidal PierLuigi Fiorella e Giuseppe Fischetto in merito alla richiesta della Procura di inibizione per favoreggiamento omissivo o mancata collaborazione nella vicenda della prima squalifica per doping del marciatore Alex Schwazer (2012).
L’udienza era stata rinviata in attesa del verdetto del ricorso a Bolzano e nel frattempo i due medici – condannati in primo grado da un Tribunale in sede penale – erano stati poi assolti dalla Corte di Appello di Bolzano perché non può (a proposito di Fiorella) “ritenersi provato al di là di ogni ragionevole dubbio che la condotta dell’imputato possa considerarsi finalizzata al favoreggiamento dell’atleta (…) pur essendo egli senz’altro in possesso delle informazioni” sulla condotta di Schwazer.
Il clamore mediatico su quell’assoluzione puntò l’indice sull’inattendibilità delle dichiarazioni del marciatore e sul crollo del suo castello accusatorio: si legge nella sentenza invece che “questa Corte ritiene credibile la testimonianza assistita dell’atleta Schwazer”.
Ma l’assist della Corte d’Appello di Bolzano al Tribunale antidoping per l’udienza di lunedì arriva a pagina 15 della sentenza. Come la mettiamo infatti con l’articolo 20 del regolamento Coni che obbliga i tesserati a dare immediata comunicazione alla Procura di ogni violazione del codice antidoping di cui si è a conoscenza? “Vi è un difetto di correlazione tra l’accusa e la sentenza di primo grado” risponde la Corte, come dire: il giudice di primo grado ha fatto male il suo lavoro ravvisando una condotta omissiva degli imputati che il pubblico ministero non aveva invece – sbagliando a sua volta – contestato.
Paradossalmente le motivazioni di una sentenza assolutoria potrebbero invece rendere problematica l’assoluzione da parte di un tribunale sportivo, chiamato a giudicare due (ormai ex) tesserati 30 mesi (!) dopo una condanna penale di primo grado.