“Missione compiuta, il comando militare supremo ha ordinato ai comandanti delle unità di stanza ad Azovstal di salvare le vite dei combattenti”, si legge in un comunicato dello stato maggiore delle forze armate ucraine diffuso nelle scorse ore. Al momento, sono usciti dai sotterranei dove si sono rifugiati negli ultimi due mesi e mezzo 51 feriti gravi e 250 militari, tra appartenenti – dice sempre lo Stato maggiore di Kiev – all’unità speciale separata Azov, la 12esima brigata della Guardia nazionale dell’Ucraina, la 36ma brigata separata dei Marine, guardie di frontiera, polizia, volontari. Rispetto agli oltre mille difensori dell’acciaieria di cui si è sempre parlato, sarebbero un po’ pochi, sempre che quella cifra corrispondesse alla verità.
Sicuramente l’evacuazione proseguirà, anche se ci sono dubbi che i comandanti accettino di arrendersi. Fuori dei rifugi infatti li aspettano i membri delle milizie filorusse del Donbass che li porteranno in campi di prigionia. I combattenti dell’acciaieria Azovstal saranno trattati in linea con le “leggi internazionali”, ha detto il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, ma bisognerà aspettare per sapere davvero quale sarà il trattamento loro riservato: secondo quanto detto fino a oggi erano infatti considerati criminali di guerra, ci ha spiegato in questa intervista Giuseppe Morabito, diverse missioni all’estero, membro fondatore dell’Igsda e del Collegio dei direttori della Nato Defense College Foundation: “I cosiddetti colloqui ‘covered’, coperti, segreti, sono sempre continuati in questi mesi fra le due parti. Adesso Kiev ha capito che non aveva più senso continuare questa battaglia al massacro”.
Zelensky dopo oltre due mesi di combattimenti accaniti ha detto che “abbiamo bisogno di eroi vivi”. Come si è giunti a questa conclusione?
Come in quasi tutte le guerre, i colloqui informali e tenuti nascosti non si sono mai realmente interrotti. Le pressioni internazionali hanno poi fatto il resto per fare uscire i rifugiati nell’acciaieria. A Kiev si è capito, fortunatamente, che non era il caso di continuare una battaglia ormai persa, anche perché molti di questi uomini erano ormai ridotti allo stremo.
Si erano capite entrambe le cose da tempo: perché Zelensky li ha tenuti là sotto così a lungo prima di dare l’ordine di arrendersi?
Non è corretto dire che il presidente ucraino li abbia abbandonati nei tunnel dell’acciaieria, anche perché certi ordini non spettano a un presidente, ma allo stato maggiore dell’esercito se non al comando di quel settore operativo. Ricordiamo cosa è successo.
Ci dica.
Quando la battaglia di Mariupol si è “messa male”, questi uomini si sono rifugiati lì pensando fosse un posto sicuro e atto a resistere. Zelensky se li è trovati lì, questa è l’espressione corretta. Una volta nell’acciaieria, chi era al suo interno ha deciso di portare avanti una battaglia che solo la storia dirà se è stata utile o inutile. La cosa positiva dal punto di vista umanitario è che stanno uscendo. Non mi sento di dare la colpa a Zelensky di tutto questo, quanto è successo è semplicemente un episodio di una tragica guerra. E mi auguro che chi si è arreso sia trattato secondo le regole della Convenzione di Ginevra.
Gli ucraini che stanno uscendo vengono presi in consegna dalle milizie filorusse, come mai? Mosca ha lasciato in mano loro di gestire l’operazione?
Va tenuto conto che la battaglia di Mariupol si è conclusa. Quando in una guerra un esercito occupa una area, se deve continuare le sue operazioni militari, lascia il territorio in questione in gestione a qualche forza incaricata del controllo del territorio stesso, in questo caso alle milizie filorusse del Donbass. In tal modo le forze russe ora possono condurre le operazioni su altri fronti. Teniamo conto che la battaglia di Mariupol ha impegnato circa 20mila soldati russi che adesso sono impegnati a combattere altrove e non devono controllare il territorio precedentemente in mano al loro avversario.
Giovedì il capo del governo Mario Draghi parlerà al Parlamento dell’invio di nuove armi. Ogni atto relativo al tipo di armi è secretato come vuole la legge. Si può capire quale tipo di arma verrà inviata in Ucraina?
Posso solo riprendere quanto dicono fonti giornalistiche. Quasi sicuramente cannoni obice FH-70.
Che tipo di arma è?
È frutto di un progetto che ha messo insieme Germania, Regno Unito e Italia. È un obice di artiglieria a traino meccanico idoneo a fornire supporto di fuoco di artiglieria a medio e lungo raggio. Il suo vantaggio è che non ha bisogno di essere trasportato su convogli ferroviari, è dotato di gancio meccanico in mondo da essere movimentato fino alle aree di combattimento da camion e ha anche un motore meccanico che gli permette di muoversi in piccoli spazi. Ha una gittata massima di 24 chilometri con munizionamento normale e 30 con munizionamento auto-propulso. Riesce a sparare tre proietti al minuto. Il problema è la catena logistica: bisogna infatti mandare anche le munizioni idonee ad essere sparate con questi obici che gli ucraini ovviamente non hanno.
Altre possibili armi?
Probabilmente mortai pesanti e missili controcarro. Anche questi non devono essere trasportarti per ferrovia e sono pronti a essere usati in combattimento in breve tempo. Anche in questo caso, per i mortai, gli stessi devono essere seguiti dal loro munizionamento specifico.
Il ministro degli Esteri ucraino ha criticato pesantemente la Nato per non aver fatto quasi sulla per aiutare l’Ucraina, ha detto, a differenza dell’Ue. Come mai queste critiche dopo mesi di aiuti anche militari?
La Nato è un’organizzazione politica a scopo difensivo, dotata a tale scopo di una struttura militare, di cui la stragrande maggioranza dei Paesi aderenti fa parte anche dell’Unione Europea. In Europa solo Albania, Regno Unito, Turchia, Montenegro, Islanda e Macedonia del Nord non fanno parte dell’Ue. Le sue sono parole a scopo puramente propagandistico per ottenere, a mio parere, ancora di più di quanto già è stato mandato. È una frase che lascia il tempo che trova, giustificabile solamente dal comprensibilissimo desiderio di avere sempre maggiori aiuti e supporto in seguito alla tragica aggressione russa.
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