Cessate d’uccidere i morti,
Non gridate più, non gridate
Se li volete ancora udire
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Questi versi di Ungaretti mi tornano a mente ogni 23 maggio, e sempre negli anniversari che anziché il ricordo assommano polemiche, rivelazioni presunte, grida, appunto. Non si tratta di omertà, tutt’altro: hanno perfettamente ragione i familiari delle vittime – e che vittime, Falcone e Borsellino sono nell’immaginario eroi e pietre miliari della nostra storia repubblicana – a voler ricercare la verità. A dirsi sgomenti dei depistaggi, delle faide, dei segreti che accompagnano due stragi che hanno fatto tremare lo Stato.



E i loro dubbi e tormenti aiutano eccome, a far luce sugli arroccamenti di certa magistratura, sulla devianza di apparati statali che supponevamo soltanto, sull’ottusità di giornalisti ed esperti di antimafia che hanno isolato due giudici integerrimi e coraggiosi per malafede, per invidia della loro fama, come se chiunque assurgesse a cariche importanti ipso facto dovesse essere sospettato.



Ma in assenza di prove certe, e le vogliamo, e bisogna cercarle, ma in assenza, per ora, di prove certe, su ulteriori responsabili e collusi, bisogna stare i fatti. E i fatti sono nomi e cognomi degli assassini, la loro condanna, per alcuni già terminata causa morte.

I fatti però sono anche una finalmente netta ed energica presa di coscienza civile, del paese tutto e in particolare della Sicilia, dove la parola mafia ha smesso di essere negata o ridotta a sfondo di serie televisive. Tutto è cambiato, a Palermo, soprattutto nei giovani. L’educazione, la scuola, le testimonianze hanno fatto tanto, hanno scavato un solco benedetto tra generazioni, e non sarà mai finito il compito, il rischio di educare, la relazione che sola può far comprendere e svoltare.



Però. Che ogni anno, e solo ad ogni anniversario, si scoprano trame improbabili, si ascoltino dichiarazioni mai fatte, saltino fuori messaggi di solerti assertori di verità sconvolgenti e risolutive, che poi non sono tali alla prova dei fatti, è assurdo, doloroso, ingiusto. Assurdo perché chi sa parli, e per tempo, e comunque nelle sedi appropriate, non concedendo interviste o firmando editoriali diversi ad ogni anno che passa. Doloroso per le vittime, e per l’immagine di un’Italia che anche sui protagonisti più specchiati e illustri trova il modo di accapigliarsi. Ingiusto, perché non si sfruttano martiri laici della nostra storia per fini politici, con le bande l’un contro l’altra armate, sia di partito, che di correnti. Chiarezza nei giudizi, sforzi per una chiarezza giudiziaria, ma con un rispetto che sia anche decoroso, onorevole, e a volte tacito.

Toglietevi il cappello, invece di sbrodolare, ecco tutto. E se volete udire il messaggio di quei due giudici, degli uomini delle loro scorte, che sapevano di rischiare la vita e non hanno ceduto alle minacce e al terrore, cessate di ucciderli con parole sciocche o cattive.

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