Un Paese dai sentimenti divisi, l’America. C’è l’America che è rimasta attonita di fronte ai fatti di Capitol Hill: l’America che, avendo sottovalutato anni di populismo e teorie complottiste, non si riconosce allo specchio – quella dei media ufficiali, anche repubblicani, che prende le distanze da Trump e dalla deriva miliziana dei suoi difensori al crepuscolo. E c’è l’America dei QAnon, dei Proud Boys, delle milizie paramilitari che si stanno diffondendo in tutto il Paese e che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, godono ormai dell’appoggio di milioni di americani: per questa America l’assedio del Congresso non è stato un atto golpista, una pagina inaudita e scioccante di inizio anno, ma una festa popolare celebrata di diritto in barba a elezioni rubate, una festa a cui unirsi, magari scattarsi un selfie. I social media intanto, che per anni hanno goduto di libertà assoluta rispetto ai media tradizionali, si trovano di fronte a una resa dei conti dal tempismo intempestivo o quanto meno sfortunato. Massimo Gaggi, corrispondente dagli Usa per il Corriere della Sera, legge e commenta i fatti di Washington. Una riflessione sul prossimo futuro dell’America.



Qual è il sentimento degli americani in questo momento, dopo l’assedio del Congresso?

L’America è un Paese spaccato, molto più di quello che si poteva immaginare e di quello che vediamo in Europa, dove pure le divisioni politiche e sociali sono profonde. Chiaro che a Washington sono tutti attoniti, è anche chiaro che ci sono adesso negli Stati Uniti 50 milioni di persone che pensano che quello che è successo sia quasi giusto. I primi sondaggi lo dicono, c’è una cinquantina di milioni di persone che la pensano come gli assalitori: il Congresso è il palazzo del popolo e non dei parlamentari.



Un sentimento diviso, quindi?

Sì, un sentimento diviso. La sensazione che si ha è di un Paese che non si riconosce più in quello che sta succedendo. Di fatto, a parte le follie di Trump, abbiamo sottovalutato per anni quello che sarebbe stato l’impatto delle informazioni falsificate e delle teorie cospirative che poi sono diventate mainstream, anche grazie al fatto che venivano diffuse dal Presidente degli Stati Uniti.

Ci sono davvero milioni di persone che la pensano come i complottisti del QAnon?

Sì, perché non tutti percepiscono quello che è successo come un tentativo di golpe, per molti era semplicemente una manifestazione di volontà politica. C’è tanta gente che sostiene che le elezioni siano state rubate e che ritiene che manifestare in modo anche rumoroso sia il modo giusto per farsi ascoltare. Voglio dire che se per molti questo è stato un assalto premeditato, organizzato, con le caratteristiche di un’azione eversiva se non di una volontà di golpe, per molti altri si è trattato di una festa quasi popolare, c’era gente che andava dentro e si faceva i selfie.



Trump ha invitato i “golpisti” a tornare a casa. Come interpretare la semantica paternalistica adottata nel rivolgersi a queste persone?

Trump si trova in una condizione instabile, come dicono i suoi stessi collaboratori, che sono preoccupati soprattutto di evitare che compia altri gesti inconsulti. Il linguaggio che ha usato non sappiamo neanche fino a che punto sia stato definito da lui. È stato chiaramente costretto a mandare quel tipo di messaggio: era sull’orlo non solo dell’impeachment ma anche della rimozione dall’incarico col 25mo emendamento della Costituzione, peraltro con conseguenze penali gravi.

Biden dice di non essere interessato all’impeachment o alla rimozione di Trump. Perché?

La rimozione viene decisa dal Congresso e da quelli che attualmente sono all’amministrazione Trump, il vicepresidente e la maggioranza dei membri del governo, poi deve esserci un voto di conferma del Congresso, ma in pochi giorni probabilmente non avverrebbe. Biden vuole guardare al futuro, il problema che Biden deve porsi è piuttosto se vorrà perseguire i reati commessi da Trump dando la sensazione di una vendetta o se dovrà lasciar correre, in questo modo legittimando però un precedente micidiale.

Cosa farà secondo lei?

Probabilmente lascerà la cosa al ministro della Giustizia, al quale restituirà anche l’autonomia che Trump non ha dato a Barr, visto che ha scelto come ministro un personaggio, il giudice Garland, rispettato anche dai repubblicani. Presumibilmente lascerà a lui dei margini. Nel discorso di ieri, quando gli è stato conferito l’incarico, Garland ha fatto capire che osserverà la legge senza guardare ai partiti né alle cariche che sono state ricoperte, quindi il capo d’imputazione di istigazione alla violenza verrà portato avanti. Se Trump si autoperdonerà, com’è probabile, i giuristi dovranno stabilire, poiché non ci sono precedenti, se un presidente può perdonare se stesso o no.

Si apre uno scenario inedito?

Perdonare se stesso significa stabilire il principio che un presidente può avere un potere assoluto, non soggetto ad alcuna autorità. Se uno può perdonare se stesso può andare in strada, ammazzare qualcuno e non subire nessuna conseguenza penale. Si aprirà uno scenario di giudizi legali e interpretazioni giudiziarie che saranno trasformate in battaglie, ma questo è un problema che si porrà più avanti.

Trump è stato bannato da Facebook e Instagram. Il populismo al suo estremo si è trasformato in autoesclusione?

Autoescludersi cosa significa? Autoescludersi dai media ufficiali, non certo dal mondo che lo appoggia e che lo sostiene. Certo è vero che ormai Trump è solo rispetto al mondo dei media ufficiali, anche di destra: oggi (8 gennaio, ndr) il Wall Street Journal gli chiede le dimissioni, il New York Post di Murdoch gli ha dato del Re Lear golpista. Detto questo, Trump continua ad avere l’appoggio di una quota molto ampia dell’opinione pubblica. Bisognerà piuttosto discutere del perché oggi c’è una quantità enorme di persone, e non solo pochi fuori di testa come all’inizio, che credono alle teorie del QAnon. Il 17% degli americani crede effettivamente che il mondo sia governato da governanti pedofili e che Trump sia venuto a salvare il mondo.

Come si è arrivati a questo?

Sono successe cose sul piano della comunicazione che stiamo scoprendo gradualmente e delle quali non riusciamo neanche a convincerci, ma quello che scrivono i media non ha più senso per tanta gente. I social media hanno il problema della regolamentazione dei media digitali, hanno goduto di libertà assoluta rispetto alla stampa per decenni e adesso sono arrivati alla resa dei conti.

E si trovano ad auto-normarsi in situazioni estreme come questa.

Sì, solo che regolare il principio della responsabilità dei media digitali per i contenuti che pubblicano sulla base delle follie di un presidente negli ultimi giorni del suo mandato non mi sembra il modo più corretto per affrontare il problema. Si dovrà depositare molta polvere prima di poter affrontare in modo sereno la questione.

Cioè?

Lo stesso Facebook, che per anni ha sostenuto la piena libertà e autoregolamentazione, adesso continua a dire, addirittura in uno spot di pubblicità digitale che sta circolando quotidianamente, che è ora che ci sia una regolamentazione pubblica dei contenuti in rete.

Qualcuno dice che siamo piombati nell’era del complottismo e del populismo. L’elezione di Biden rappresenterà un riassorbimento di questa regressione? E come potrà Biden su queste basi conquistare i sostenitori di Trump?

Dovrà cercare di riconquistare il consenso, ma è difficile conquistare il consenso di gente che è convinta che tu abbia rubato le elezioni. Dovrà cercare di comportarsi con moderazione e riconquistare così almeno i conservatori moderati, per gli altri si vedrà, dipenderà da come verrà contestato.

A cosa si riferisce?

Non dimentichiamoci che in questi anni sono cresciute le milizie paramilitari, gruppi come i Proud Boys: ce ne sono più di cento sparpagliati in tutto il Paese. Bisognerà vedere se si ripeteranno manifestazioni come quelle di mercoledì e se diventeranno ancora più violente.

È quello che ci si aspetta?

Difficile prevedere il comportamento di questi gruppi. Il timore che ci fossero colpi di coda di Trump c’è sempre stato, e personalmente pensavo ci sarebbe stata una migliore organizzazione. C’è stata una carenza, infatti si sono dimessi tutti i capi della polizia di Capitol Hill, evidentemente c’è un eccesso di burocrazia anche su quel fronte nel Congresso.

Un evento, per quanto sconcertante, prevedibile?

Che ci fosse il pericolo che Trump non volendo ammettere la sconfitta tentasse di condizionare il Parlamento si sapeva: ha cercato di farlo prima attraverso i tribunali e non ci è riuscito, poi con la Corte Suprema, poi intimidendo con le telefonate i funzionari degli Stati che hanno ratificato il voto, e non è riuscito neanche lì. L’ultima carta che gli era rimasta era condizionare il voto del Congresso. Non essendoci riuscito, perché i repubblicani disposti a dargli retta erano tanti ma non sufficienti (soprattutto al Senato), non gli era rimasto altro che scatenare la piazza, ma è stato più un gesto simbolico.

In che senso?

Trump sapeva che la partita era persa ma voleva giocarsela comunque nel continuare per quattro anni a dire che Biden è un Presidente illegittimo, che ha rubato il voto, quindi indebolendo la sua azione. E magari ricandidandosi, o ricandidando un suo fedelissimo come Josh Hawley, il senatore del Missouri.

L’irruzione dei QAnon in Congresso è un gesto simbolico che però porta alla luce un mondo inquietante che non possiamo più ignorare?

Basti pensare al fatto che l’altro giorno, nell’ultimo comizio prima del voto in Georgia, i due senatori repubblicani hanno avuto il plauso neanche tanto caloroso della platea repubblicana. Quando invece è arrivata ad appoggiarli Marjorie Taylor Greene, deputata dei QAnon eletta a novembre, la folla che era in piazza è andata in visibilio. Insomma i due senatori repubblicani, peraltro molto trumpiani, sono stati accolti molto più freddamente della deputata QAnon, e infatti non sono stati nemmeno rieletti.

(Emanuela Giacca)