La COP28 di Dubai si è chiusa tra gli applausi per l’approvazione del “Global Stocktake”, il bilancio degli impegni per ridurre le emissioni di gas serra. Infatti, come ha ricordato il Presidente della Conferenza, Al Jaber, “per la prima volta in assoluto c’è un linguaggio sull’uscita dei combustibili fossili”. Tuttavia, vi sono ambientalisti poco soddisfatti. Anzitutto, perché il “phase out” (eliminazione graduale) dalle fonti fossili è stato sostituito dal “transition away” (transitare fuori), un termine ambiguo e soggetto a interpretazione, come il testo generale delle conclusioni che lascerebbe spazio a politiche di greenwashing. «Si possono lanciare proclami, esprimere auspici e siglare tutti gli accordi che si vogliono, ma il dominio dei fossili sarà difficile da scalfire», è il commento di Davide Tabarelli, Presidente di Nomisma Energia, che aggiunge: «Sono impressionato da come ci si dimentichi del passato, di tutti gli obiettivi che ci si era posti nelle precedenti COP o negli accordi sui cambiamenti climatici, a partire dal Protocollo di Kyoto del 1997. Si continuano a fare incontri a livello globale, a proporre obiettivi comuni condivisibili, dei buoni propositi positivi, ma cercando di mettere in atto delle politiche contro la realtà, contro la fisica, inevitabilmente si crea disordine».



A che cosa si riferisce?

Oggi questo disordine riguarda il fatto che molti poveri, che hanno bisogno dei combustibili fossili, in futuro faranno più fatica ad averli. Sarà complicato convincere i Paesi africani a non usare fonti fossili, ma rinnovabili, quando quest’ultime non riescono a svolgere lo stesso lavoro delle prime. Di fatto si renderà più difficile per miliardi di persone l’accesso all’energia, che diventerà più cara per quanti vivono nei Paesi più ricchi. Questo non è un problema per i benestanti, ma per i poveri.



Dunque non aveva tutti i torti Al Jaber quando, la settimana scorsa, scatenando dure reazioni e polemiche, disse che l’abbandono dei combustibili fossili ci riporterebbe all’età delle pietra…

Sarebbe peggio del ritorno all’età della pietra, perché allora non c’erano così tanti abitanti sulla Terra. Oggi senza i fossili ci sarebbero guerre per accaparrarsi l’accesso alle altre forme di energia. Pensi a una giornata piovosa e fredda come quella di oggi, nella quale eolico e fotovoltaico danno un contributo quasi nullo alla produzione di energia elettrica: come faremmo in Italia senza il gas, considerando che l’idroelettrico copre meno del 10% dei nostri consumi? Credo persista, purtroppo, un errore di fondo a monte: è brutto da dire, ma senza i combustibili fossili non c’è l’energia che ci serve.



Non sarebbe, dunque, possibile sostituire i combustibili fossili con altre fonti?

C’è la convinzione diffusa che un giorno ce la faremo, ma bisogna anche riconoscere che se, come viene paventato dall’Ipcc, c’è il rischio che intere isole vengano sommerse dall’acqua e che è a rischio la sopravvivenza di miliardi di persone, allora non c’è tanto tempo a disposizione: da domattina dovremmo smettere di usare le auto e rinunciare a tutta l’energia che comporta l’emissione di CO2. Non è così facile abbandonare i combustibili fossili, perché la civiltà mondiale è costruita su di essi. Sappiamo che sono sporchi e cattivi, ma a oggi non ci sono alternative sufficienti. È ovvio che non si può non essere d’accordo con la necessità di azzerare le emissioni di CO2, particolato, zolfo, ecc., ma, come dicevo all’inizio, sembra mancare un contatto con la realtà, che alla fine danneggia i più poveri.

Nelle conclusioni della COP28 si fa riferimento all’aumento della produzione di energia nucleare. Ma per ottenerlo ci vorrà comunque tempo…

Se il rischio è quello dell’innalzamento di oceani e mari, con conseguente sommersione di isole e zone costiere abitate, allora si deve subito cominciare a costruire quante più centrali nucleari possibili, senza necessariamente aspettare i reattori di quarta generazione, ma usando quelli che già oggi garantiscono il 25% della produzione di energia elettrica in Europa, perlopiù situati appena fuori dai nostri confini nazionali in Francia.

Aumentando anche gli impianti eolici e fotovoltaici

Certo, tenendo conto però sia dei loro limiti riguardo la disponibilità di energia nell’arco di una giornata e nel susseguirsi delle stagioni, che dei costi che hanno. In Italia abbiamo tanti pannelli solari, frutto di onerosi sussidi che hanno distolto risorse pubbliche da altri possibili impieghi. Non dovremmo dimenticarcene oggi che a livello politico nazionale ed europeo si discute animatamente sui decimali di deficit e debito. Oltretutto, nonostante tutti questi sussidi, le fonti fossili continuano a contare per l’80% nel mix energetico nazionale, la stessa percentuale di energia primaria coperta dalle fonti fossili a livello mondiale.

Cosa ci lascia questa COP28 rispetto alle ambizioni europee sulla transizione green?

In Europa ci piace molto essere i primi della classe, ma oggi paghiamo l’energia più degli altri. È vero che è anche la conseguenza di una guerra, ma il punto è che non abbiamo un fornitore economico come lo è stata la Russia fino a due anni fa. E questo anche perché da decenni non si fanno investimenti sulle fonti fossili nel nostro continente. Stiamo facendo anche una scommessa sull’auto elettrica, destinata a fallire, ma intanto le compagnie automobilistiche stanno investendo miliardi di euro e cresce la nostra dipendenza dalla Cina per le batterie piuttosto che dagli Usa per i modelli più evoluti. Questa aspirazione ambientale dà scarsi risultati: ci fa sentire meglio con le nostre coscienze, ma ci impoverisce perché porta deindustralizzazione e bassa crescita Dato che stiamo parlando di un continente che sta invecchiando, potrebbe anche non avere la necessità di crescere ancora. In ogni caso, mi piacerebbe ci fosse più realismo su questi temi.

Il prezzo di essere i primi della classe è quello di perdere l’industria?

Forzando un po’ i toni, di fatto è così. Non è solo con l’energia a basso costo che si crea nuova industria, però i paletti messi dalle politiche ambientali europee sull’energia comportano alti costi che facilitano la deindustrializzazione.

(Lorenzo Torrisi)

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