Gentile direttore,

sto seguendo con attenzione e stupore la vicenda del Corvetto di Milano e ho letto diversi articoli che provano a dare una visione sociologica o a effettuare una mera cronaca di ciò che sta accadendo.

Colpisce la strumentalizzazione che sta avvenendo attorno alla tragica vicenda e stupisce la superficialità con cui un tema così delicato come quello educativo, in particolare nelle periferie, viene trattato dai media e da gran parte della politica, con l’unico risultato di alimentare ancor di più la rabbia e il disorientamento di ragazzi per lo più soli e sicuramente senza punti di riferimento.



E allora cosa fare davanti alla rabbia dei ragazzi che brucia più dei rifiuti nel quartiere? Si può fare altro oltre che evocare un apocalittico “effetto banlieue”?

Credo che un primo passaggio fondamentale sia quello di riconoscere, ascoltare e supportare le realtà che al Corvetto, come in altri quartieri periferici, operano instancabilmente tutti i giorni per l’educazione di questi ragazzi, l’integrazione sana delle loro famiglie e la pace tra le diverse anime dei quartieri. Il riconoscimento, l’ascolto e il supporto possono e devono avvenire da parte di tutti, dalle istituzioni ai media, dalla rete di associazioni ai comuni cittadini nel solco di quella sussidiarietà che ha sempre contraddistinto l’Italia.



Occorre partire da ciò che è già presente perché, contrariamente a quanto molti dalle loro scrivanie sostengono, c’è una parte di Milano che non ha perso l’interesse a dialogare con questi ragazzi e ci sono già educatori che provano tutti i giorni non tanto a spiegare come stanno le cose, quanto a scoprirle con loro, proprio partendo da quel cuore così bramoso di bene, di verità e di giustizia che nemmeno il video più nitido dell’incidente può saziare.

Un esempio di queste realtà sociali è presente proprio nel cuore del Corvetto, dove attorno al convento delle Suore di Carità dell’Assunzione ruota un’attività quotidiana di accompagnamento ai ragazzi, alle famiglie e agli anziani del quartiere che ha reso le Suore una presenza di bene riconosciuta da tutti. Non voglio tanto fermarmi ai numeri di questa realtà: non sono le più di 100 persone seguite con attività socioassistenziali al domicilio, i quasi 70 ragazzi che ogni anno frequentano il centro diurno, i più di 300 bambini e ragazzi seguiti annualmente nelle scuole o doposcuola e le quasi 600 persone in carico all’assistenza domiciliare che colpiscono chiunque incontri questa realtà. Quello che colpisce la gente, quello che ha colpito me fino a dedicare settimanalmente, da otto anni, il mio tempo gratuitamente per studiare con ragazzi delle medie o bambini delle elementari, è proprio quel desiderio di bene per chiunque venga incontrato e quella capacità di parlare ai ragazzi che trasuda da ogni iniziativa messa in atto dalle suore, sia essa l’aiuto allo studio o l’assistenza domiciliare, i giochi insieme o il Presepe vivente organizzato per le strade del quartiere per celebrare insieme il Mistero del Natale.



Dentro la fatica dei collaboratori e delle decine di volontari di questa opera – universitari, lavoratori e pensionati – nascono quotidianamente dei piccoli grandi miracoli, come la convivenza tra persone di etnie, religioni e culture diverse, come la preghiera fraterna di bambini e adulti cattolici, copti, musulmani e di altre religioni “per la pace nel mondo, in Terra Santa e nei nostri cuori”, come richiamano le parole che quotidianamente le suore dicono prima di iniziare lo studio con i ragazzi, o come la grande festa di fine anno scolastico in cui mamme provenienti da diversi Paesi cucinano per i bambini e per le altre famiglie un piatto tipico della loro tradizione dando vita a una tavolata che abbraccia il mondo.

Sicuramente questi avvenimenti non fanno notizia come le rivolte delle ultime ore, ma rendono possibile sperare in un futuro e, perché no, anche in un presente, in cui tutti possano sentirsi voluti bene e quindi a casa al Corvetto come negli altri quartieri.

(Pietro Pirola)

 

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